Amici e Ricordi

In gita a Boffalora, Morimondo, Trivolzio  con Gianni, Marco e Beppe.
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29 maggio 2012

Alle tre Croci del Campo dei fiori, pensando agli Alburni.

Sacromonte sopra Varese, visto dalle Tre Croci.



Ciao Eduardo,

in questi giorni mi sei tornato nei pensieri più spesso del solito ...tanti pensieri, tanti ricordi accompagnati sempre dal tuo sorriso solare, dai tuoi occhi trasparenti che oggi, in un’altra dimensione, riflettono certamente paesaggi e orizzonti sconfinati, invasi di una luce mai vista, al cospetto dei quali i panorami che abbiamo goduto insieme, nei pochi preziosi anni della nostra frequentazione, sono solo un pallido riverbero.

L’ultimo panorama che abbiamo ammirato insieme è stato quello che si gode dal “terrazzo delle Tre Croci”, sul Campo dei Fiori - il massiccio che domina Varese - e lì, ti ricordi ( primavera 2010 ?) abbiamo rievocato le estati vissute insieme – prima metà degli anni ’60 – nella “casa vacanza” di Sicignano degli Alburni. E parlandone scoprimmo che da allora, né tu né io vi eravamo più ritornati, ma quei luoghi continuavano a vivere dentro di noi quasi facessero ancora parte della nostra quotidianità: tanto è stato forte e indelebile il loro impatto sulle nostre menti e sulla nostra formazione . 

Seduti ai piedi delle tre croci, entrambi stanchi per la lunga passeggiata, parlammo a lungo di Sicignano e degli Alburni .

Da sempre – ti dicevo - tutte le volte che percorro in macchina l’A3, Salerno-Reggio Calabria , scendendo da Cava dei Tirreni verso Salerno, rallento la corsa per non perdermi l’attimo in cui si esce dalla valle del torrente Bonea ,che separa i Monti Lattari dai Picentini, e improvvisamente ti si apre davanti, a perdita d’occhio, un panorama indimenticabile. La scena si riempie veloce, quasi un crescendo incalzante: innanzitutto il mare che in lontananza si fonde col cielo e poi, abbassando appena lo sguardo, sfiori i tetti di Vietri sul mare, abbarbicata su un costone di roccia calcarea e stretta intorno alla chiesa di san Giovanni Battista che, con la sua bella cupola secentesca rivestita di maiolica, ricorda subito che siamo nella capitale della ceramica. Prima che l’auto segua l’ampia curva a sinistra, verso Salerno, si fa in tempo a godere la vista della costiera amalfitana con i primi paesini, incantevoli grumi di case bianche, tra i terrazzamenti tipici della zona. Poi il mio sguardo, carezzando dall’alto Salerno, il suo porto, la lungomare... si spinge verso la piana del Sele, fino ad abbracciare l’intero Golfo, chiuso a sud da Agropoli : in questa cornice , tra l’azzurro del cielo e del mare e il verde della piana del Sele si alza possente il massiccio dei Monti Alburni . 


Mentre ti raccontavo dell’emozione che mi prende ogni volta che vedo stagliarsi all’orizzonte la sagoma degli Alburni e, tra i castagneti, immaginavo di vedere la nostra “casa vacanza”, quasi a bruciapelo e con tono deciso mi chiedesti: “ma Giovanni, sai che quella casa è stata abbandonata almeno da vent’anni ed oggi è solo un rudere?”. La domanda era retorica, tu avevi capito bene che io non lo sapevo, che nessuno me l’aveva detto e ti premurasti solo di riportarmi per un attimo alla realtà: quella casa non c’è più ! Per un po’ restammo silenziosi, un silenzio di disappunto, di riprovazione per il suo abbandono: la nostalgia pareva trasformarsi in malinconia. 
Annegati in questi pensieri continuavamo a fissare dall’alto le colline del varesotto: 
chissà quale sentimento ci attraversava veramente la mente in quei momenti di silenzio e chissà se era anche un sentimento comune. 
Non ce lo chiedemmo: ci sono talvolta silenzi che vogliono restare tali. 
Riprendemmo poi il filo dei ricordi, scendendo lungo i gradini che dalle tre croci portano al Grand Hotel Liberty ( anch’esso ormai abbandonato , come la nostra casa vacanza di Sicignano), ma lo facemmo con ritrovata serenità.
Edu , ti ricordi che per quanto ci sforzassimo non riuscivamo a ricordare il nome di quel frate cappuccino svizzero, professore di storia dell’arte che, durante una di quelle vacanze, ci tenne un interessantissimo seminario su Michelangelo e gli affreschi della Cappella Sistina? Tu ricordavi benissimo il piacere di quegli incontri, il fascino della narrazione, impreziosito dalla proiezione di slide che coglievano mille particolari che da soli non avremmo mai colto e gustato. Ci trovammo d’accordo nel dire che fu nel corso di quell’estate e per merito di quel prof. che tornammo a scuola innamorati di Michelagelo, della sua potenza espressiva e della fisicità dei suoi personaggi. Ricordammo divertiti “ gli intervalli” nel corso delle quali il prof. lasciava scorrere sullo schermo immagini di fauna alpina e la battuta con cui le commentava “...questi invece sono stambecci ( stambecchi) di mia sorella “: non abbiamo mai capito se la sorella fosse proprietaria del branco di stambecchi o fosse solo l’autrice delle foto. 
Lasciando Campo dei fiori “passammo in rassegna” gli amici, ospiti con noi della “casa” diretta da padre Benedetto: Lucio Viscido ( a proposito, sai che sta molto male ? parlane con qualcuno lassù, tu che puoi, fa che siano lenite le sue sofferenze ), Isidoro, dai capelli rossi, alto e robusto come un guerriero vichingo , Antonio Tomay , forte come una roccia e orgoglioso di avere uno zio ( padre Clemente da Postiglione ) a San Giovanni Rotondo, collaboratore di Padre Pio da Pietrelcina nelle sue opere di carità, Gerardo di Poto, Valentino, Giuseppe Ingenito e il fratello fruttivendolo ambulante che passava regolarmente ( con un’ Ape Piaggio) a rifornirci di frutta, verdura e angurie gigantesche e poi ancora, Sergio, Antonio di Corleto Monforte e Modesto Fragetti, magrissimo e altissimo che, quando giocavamo a pallavolo schiacciava senza doversi sollevare da terra.

Edu, lo so che sono “lungo” ( me lo dicono in tanti) e allora chiudo con un ultimo ricordo: le escursioni che ogni estate facevamo sugli Alburni. Eravamo organizzatissimi , con guide e muli ( le guide per noi e i muli per le vettovaglie:c’erano con noi 30 giovani bocche da sfamare! ). Le guide erano del posto, di Sicignano o Postiglione, i due paesi da cui iniziavano le escursioni, l’obbiettivo era sempre lo stesso : arrivare in cima, sulla punta più alta, la mitica “punta Panormo”( m.1742), da cui sognavamo sempre di vedere Palermo , ma forse “panormo” deriva solo dal “panorama” che spazia dalla val Tanagro al mare abbracciando l’una e l’altra costiera ( quella ricca, l’amalfitana, e quella che allora si diceva povera, la cilentana).
Punta Panormo è posta tra Petina e Sicignano, di conseguenza le salite da Postiglione erano le più lunghe ma meno faticose perché minore era la pendenza ; salendo da Sicignano invece ci sembrava di prendere la montagna di petto. In ogni caso era sempre una festa : i nostri canti, le urla, la gioia si spandevano felici in un ambiente incontaminato, dominato da una flora davvero ricca e mutevole: si passava dalla macchia mediterranea (salendo da Postiglione ) ai castagneti , soprattutto a Sicignano, castagneti secolari che ci accompagnavano e riparavano dal sole agostano con la loro ombra fitta , fino alle quote più elevate ove si impone la faggeta, ma crescono bene anche ontani, cerri, carpini, tigli, ecc...che creano un sottobosco ricco di funghi e lamponi. E poi , Edu ricordi le scorpacciate di fragole una volta raggiunta la parte pianeggiante dove contendevamo l’acqua alle mucche al pascolo ? Punta Panormo è uno dei tanti bastioni o contrafforti carsici, bianchi, altissimi che disegnano il caratteristico profilo degli Alburni e da cui deriva il nome di “Dolomiti campane”.
Edo, sai cosa penso , e così chiudo sul serio , che forse proprio lì, o soprattutto lì,sugli Alburni, bevendo dagli abbeveratoi del bestiame, rinfrescando il cibo in una ghiacciaia naturale, immergendoci nella natura più incontaminata, cantando liberi con gli uccelli del bosco, tenendoci per mano quando le asperità della salita lo consigliavano, abbiamo imparato a guardare al mondo con gli occhi semplici e trasparenti di Francesco. E penso che tu sei riuscito a mantenere questo spirito fino a che non hai scalato la vetta più alta di tutte, da cui ora ci guardi. Eduardo, dacci una mano ad essere anche noi coerenti con i nostri valori...fino in fondo, anzi fino a raggiungerti in vetta. Ciao.


Il massiccio dei Monti Alburni, sopra Sicignano degli Alburni, Salerno.

Il chiostro del Convento dei Cappuccini a Sicignamo...ormai un rudere !
( clicca qui per il collegamento al sito http://www.scoprisicignano.it/fotogallery/)

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1 luglio 2011, un mese dopo

Milano: Santa Maria delle Grazie.

Ciao Eduardo, 
esattamente un mese fa, sotto le volte antiche di santa Maria delle Grazie, volte cariche d’arte, di fede e di storia ti abbiamo dato l’ultimo addio terreno, ad Deum, in realtà solo un … arrivederci ! La chiesa era gremita di gente, amici, parenti e i tuoi confratelli terziari domenicani che avvolgevano te, Maria Assunta, Chiara, Francesco, Emmanuele in un abbraccio corale, visibilmente carico di affetto (“Giovanni, hai visto quanta gente gli voleva bene? ”- mi dirà più tardi orgogliosa di te, Maria Assunta). Io, un po’ stordito – ma mi è successo di continuo in quei giorni – mi guardavo intorno quasi a cercare conferme che fossimo lì per darti l’ultimo saluto …. non mi pareva vero! 
Mi guardavo intorno, come per cercarti tra la folla e ti scoprivo nella fragilità e nel dolore di Salvatore ( è così che si chiama uno dei tuoi fratelli? Non so se ricordo bene, ma tu hai capito a chi mi riferisco); ti vedevo giovane nel volto e nei nomi di Chiara, Francesco ed Emmanuele; ti vedevo amorevole, nella compostezza di Maria Assunta che lottava per dominare il dolore; ti sentivo presente nei pensieri che dall’altare ti hanno indirizzato in tanti - da quelli del Priore della comunità domenicana alla lettera di Chiara, letta dalle sue amiche – parole, pensieri che testimoniavano l’amore che ti sei conquistato con la tua vita spesa al servizio degli altri ( che fosse nella chiesa parrocchiale o nell’austera Santa Maria delle Grazie, tra le corsie del Fatebenefratelli o tra le mura di casa ) comunque sempre coerente con i tuoi principi morali e la tua profonda fede religiosa. Eduardo, pensavo queste cose e mi sentivo l’animo lacerato: mi sentivo orgoglioso per la tua amicizia, orgoglioso per aver condiviso con te i tuoi ultimi anni di vita, ma triste per averne condivisi così pochi e per questo anche un po’ fuori luogo, fuori posto, lì tra i tuoi parenti e amici di lunga data ! Eppure eravamo proprio lì dove ci eravamo dati appuntamento! Già, perché ti ricorderai quante volte mi hai detto, meravigliandoti perché non ho mai visto il Cenacolo vinciano : “appena sto meglio, ci andiamo insieme ! Prenoto io la visita, ma prima ci fermiamo in Santa Maria delle Grazie, per recitare le Lodi”. Eduardo, sei stato per me una scoperta continua, mi sorprendevi ad ogni incontro ! “…recitare le Lodi “, lo dicesti con una semplicità incredibile, senza neppure immaginare quale turbinio di emozioni , quali ricordi lontani - che io pensavo di aver rimosso per sempre - tu facesti emergere con quelle parole. “ Certo” - ti risposi deciso – “ prenota pure, ci vediamo in Santa Maria delle Grazie e poi mi fai da cicerone nella visita al Cenacolo”. No, non ero fuori posto in chiesa, in quell’indimenticabile 31 maggio, anzi non potevo mancare perché eri stato proprio tu ad invitarmi … ma per visitare il Cenacolo, dovrò ritornarci: e lo farò, visiterò il Cenacolo, fisserò i miei occhi su quell’affresco, ne scruterò i volti rappresentati, uno per uno, perché so che tra quei volti che si rispecchiano nel Volto di Cristo, ora c’è anche il tuo ! Lì ti rivedrò. Ciao Eduardo !



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22 giugno 2011, su FacebooK


Nuvole sopra Sacromonte di Varese, www.panoramio.it

Ciao Eduardo, no non scrivo per farti gli auguri di "buon compleanno": non sarei spontaneo, forse perchè per tanti anni non ho saputo neppure dove indirizzarteli. So comunque che sto per dirti una cosa ancora più strana: questa mattina, aprendo la finestra ho guardato subito in alto, oggi è nuvoloso qui sulle colline del varesotto, e... dalle nuvole mi è parso di vederti mentre ti sporgevi verso il basso. 
Ho visto il tuo sorriso e poi le gote gonfiarsi e le labbra raccogliersi per soffiare, soffiare tanto e forte... ma non per spegnere improbabili candeline, bensì per mettere vento in poppa e gonfiare le vele alla nave di Chiara che oggi prende il largo per sostenere gli esami di maturità. 
Per un attimo mi sono messo a soffiare anch'io... auguri Chiara, ciao Eduardo! Assunta un abbraccio !


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2 giugno 2011, Festa della Repubblica


Ciao, Eduardo !
Giovedì sera 2 giugno, Festa  della Repubblica, su invito di Santina un’amica insegnante , ho partecipato  alla presentazione di un libro, fatta dall’autore stesso.  Te ne parlo con una nota in FB, perché sono certo che comunque lo avrei fatto a voce, se avessimo potuto incontrarci: spesso infatti abbiamo parlato di libri nei nostri pochi ma intensi incontri. E ricordo bene il piacere che spesso provavamo nello  scoprire interessi comuni , condivisione di giudizi e valutazioni su di un libro o sull’autore . Ricordi gli ultimi libri che ci siamo scambiati ? E’ stato in occasione  degli  auguri di Natale 2010: tu mi hai regalato “Preferisco il Paradiso” di Pippo Corigliano ed io ti ho regalato “Ogni cosa alla sua stagione “ di Enzo Bianchi.  Di quei momenti porterò sempre nel cuore la luce che ti illuminava, mentre parlavi di Enzo Bianchi  e mi raccontavi del piacere che avevi provato nel leggere  un’altra sua opera  , “il pane di ieri “, ma soprattutto  non dimenticherò mai come ti brillavano gli occhi mentre, scorrendo qualche pagina di “ Ogni cosa alla sua stagione” , posavi lo sguardo sul titolo di qualche capitolo: ”i giorni del presepe” , “i giorni della memoria”, “la cella sempre con me”, ecc… Ti piacque molto la mia scelta , perché per  te come per me, personaggi come Enzo Bianchi, sono stati sempre fari , stelle ad orientarci lungo il cammino !
Edu, mi sono dilungato e sono andato fuori tema:  non è infatti  del Priore di Bose e dei suoi scritti che oggi  voglio parlarti , ma di un altro autore, lontano da lui per cultura, per stile e scelte di vita, ma  vicinissimo a lui  per  l’attenzione agli uomini, al loro lavoro, alle loro storie, alle loro sofferenze .
Il libro ha come titolo “ Bella Napoli. Storie di lavoro, di passione e di rispetto”, l’autore è Vincenzo Moretti napoletano  e sociologo, che insegna  "sociologia dell’organizzazione"  nell’Università di Salerno.
La mia amica lo conosce bene, io molto meno ( pur avendo scoperto di avere a Salerno amici comuni ) ma mi è bastato sentire il titolo del libro e il fatto che Moretti insegnasse a Salerno per attrarmi fatalmente: quella serata non me la sarei mai persa. “Bella Napoli” è una raccolta di 12 racconti o, meglio,  12 “avventure di terroni” . Biografie vere , di persone che l’autore ha conosciuto e intervistato personalmente, 12 biografie belle e che fanno più ” bella” Napoli  , pur nelle sue mille contraddizioni.  Moretti nell’arco di poco meno di due ore volate via come il tempo , brevissimo ,che io e te abbiamo passato insieme, ci ha offerto, anzi affrescato  qualcuna  di quelle 12 vite, e l’ha fatto con l’amore di una madre che racconta i sacrifici, l’onestà , la generosità e anche qualche tic dei figli, e lo ha fatto con la profondità  narrativa di un sociologo, che è anche un affascinante comunicatore e un bravo narratore. Tra le storie che ha scelto per presentarci il suo libro c’è quella di “ Antonio M. “di Secondigliano, ferroviere .  E’ stato un  caso ? 
Edu , io non credo al caso, come te preferisco pensare alla Provvidenza. Comunque quella sera non mi sono perso una parola della narrazione del prof Moretti, non mi è sfuggita neppure la più banale  sfumatura e così mentre il prof. pronunciava  “Antonio”, le mie orecchie sentivano “Eduardo”e io ( benché non ti abbia mai visto in abiti da lavoro) oltre le sue parole, vedevo te fiero e finemente autoironico, con in testa il tuo bel  “berretto rosso”.
La  storia di Antonio, mi ricorda un po’ la tua storia. Te ne leggo qualche riga, in particolare quella che riguarda il suo trasferimento a Bologna , ti piacerà: Io l’ho letta e riletta … mi sembra  di leggervi cose che tu mi hai raccontato. Ascolta: “… per me è stato normale fare i concorsi e però allo stesso tempo partire per cominciare a lavorare, magari in attesa di lavori migliori, per crearmi un’autonomia economica, per sentirmi libero, avere un mio spazio,una mia casa, dei miei rapporti. E poiché questo non era possibile, allora come oggi, a Napoli, diciamo che mi sono dato la libertà di scegliere Bologna perché è una città che mi sembrava  - ritengo ancora oggi  di aver fatto la scelta giusta – potesse rispondere alle esigenze che avevo, sia perché non era molto grande, sia, soprattutto, perché aveva nel suo dna , e ancora per certi aspetti le è rimasta ,la cultura della solidarietà, della collaborazione, insomma la cultura dell’altro.
Ricordo che anch’io all’inizio mi stupivo che non ci fossero carte o comunque cose lasciate in mezzo alla strada o nei cestini o nei carrelli della spesa, ma quello che davvero ti colpiva era proprio il concetto dell’altro, il concetto del  vivere sociale, il rispetto del lavoro e di chi lavora che, come dicevo, ancora oggi c’è, anche se negli ultimi anni si sta perdendo. Per fare un esempio, quando ho iniziato a lavorare in ferrovia, giù nel meridione c’era ancora una cultura per cui il più giovane magari portava la borsa al capotreno, c’era questa forma di sudditanza che invece a Bologna non è mai esistita. A Bologna la discriminante era tra chi aveva cultura , un’etica del lavoro, e chi non ce l’aveva. Anche le persone che facevano i lavori più umili erano rispettate, avevano  l’orgoglio di sentirsi lavoratori e la consapevolezza di essere rispettati”. 
Eduardo, ti ricordi quando mi parlavi della tentazione che hai avuto da giovane di chiedere un trasferimento al sud ? Ascoltando il racconto di Antonio mi sono ricordato delle motivazioni che ti fecero desistere,motivazioni che si riconducono tutte agli stessi valori di laboriosità, dignità, rispetto per gli altri, di cui parla Antonio. Ti ricordi  della pena con cui mi parlavi di un tuo collega e caro amico che, proprio  a causa di un trasferimento e delle prevaricazioni  che subiva da un  suo diretto superiore, si ammalò di depressione ?  Eduardo sono questi sprazzi di conversazione che abbiamo avuto nei rari e preziosi incontri che tu mi hai donato  ad aver fissato nel mio animo i tuoi lineamenti morali, prima che quelli fisici,  in modo indelebile.
Ti ho annoiato ? Spero proprio di no, sono anzi convinto che sarebbe piaciuto anche a te, da ex ferroviere , da salernitano orgoglioso della sua origine e da uomo ricco di valori e rispetto per gli altri, partecipare a quella “presentazione” . Ma soprattutto spero che non ti sia annoiato, perché abbiamo ancora tante cose da dirci, ed io ho ancora tante cose da imparare da te, dalla tua vita trasparente e sobria ( sicuramente influenzata anche dall’esperienza giovanile che abbiamo avuto), dai valori che hai incarnato e che oggi vivono nella tua bella famiglia.
Ciao Edu, ti scriverò ancora pensandoti con affetto, tu però vigila anche su di me, come farai con la tua famiglia. 









Eduardo ci ha  lasciato solo qualche giorno fa,  il 29 maggio 2011.

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