APRITE LE PORTE A CRISTO: ero straniero e mi avete ospitato.
È questo il titolo del Convegno Caritas della Zona di Varese, svoltosi sabato 18 febbraio 2017 alla presenza del Vicario episcopale S.E. Mons Franco Agnesi.
Quello di Varese è uno dei 7 convegni in programma (uno per ciascuna delle 7 zone pastorali in cui è articolata la Diocesi Ambrosiana) che “si inseriscono all'interno dell'ampia proposta formativa che viene affidata in modo particolare ai responsabili Caritas parrocchiali, decanali per essere sostenuti nel loro prezioso impegno a servizio della comunità”.
Quello di Varese è uno dei 7 convegni in programma (uno per ciascuna delle 7 zone pastorali in cui è articolata la Diocesi Ambrosiana) che “si inseriscono all'interno dell'ampia proposta formativa che viene affidata in modo particolare ai responsabili Caritas parrocchiali, decanali per essere sostenuti nel loro prezioso impegno a servizio della comunità”.
Ai convegni partecipano i volontari che
costituiscono il braccio operativo delle Caritas parrocchiali e decanali, dei Centri
di Ascolto, dei punti di raccolta e distribuzione di generi di prima necessità e
quanti –vicini alla Caritas- si dedicano al tema dell'accoglienza.
Si tratta di appuntamenti importantissimi per un'approfondimento della propria formazione cristiana. Scende da questi incontri un rivolo di acqua viva che , nelle intenzioni degli organizzatori, è destinato a vivificare ogni organismo parrocchiale e ogni singolo membro delle nostre comunità.
Si tratta di appuntamenti importantissimi per un'approfondimento della propria formazione cristiana. Scende da questi incontri un rivolo di acqua viva che , nelle intenzioni degli organizzatori, è destinato a vivificare ogni organismo parrocchiale e ogni singolo membro delle nostre comunità.
Il
Convegno di Varese, che si è tenuto presso il Collegio De Filippi, ha
registrato una partecipazione nutritissima di operatori Caritas: ha fatto gli onori di casa don Claudio Caregnato - responsabile
Caritas di Varese- ha presieduto il convegno S. E. Mons. Franco Agnesi,
Vicario episcopale; relatori don Marco
Bove, Mario Salis e Luciano Gualzetti.
La pedagogia dei fatti
Mons. Agnesi, dopo la preghiera iniziale e l’ introduzione, ha lasciato
spazio ai racconti degli operatori e del Direttore Caritas di Zona, Mario Salis, “spazio alla pedagogia
dei fatti “ tanto più fruttuosi in quanto narrati dai protagonisti”, le cui
storie dimostrano con chiarezza che
anche a Varese e provincia nel 2016 è
cresciuto il ruolo accogliente delle Caritas e delle parrocchie e che tanta
altra strada è possibile fare già nel 2017.
I dati li
fornisce Mario Salis: quanti migranti sono arrivati in Italia nel 2016, quanti in Lombardia e nella provincia di Varese. Quante
e quali parrocchie sono coinvolte, quanti Comuni, quanti volontari e l’opera
insostituibile della Coop Intrecci e
del suo personale altamente specializzato. Parla di dati e parla di “dialogo, il modo migliore per fare le cose”,
e parla di nuove parrocchie che si preparano ad accogliere migranti . E mi
inorgoglisco quando nell’elenco scorgo anche le parrocchie del decanato di
Azzate.
Ma non la tira
per le lunghe, Mario, a lui sta a cuore soprattutto mandare avanti, dare la parola agli operatori che quotidianamente vivono il
rapporto con i migranti , richiedenti asilo, a cui prestano la loro opera
soprattutto nei CAS .
Uno dopo
l’altro si alternano al microfono:
Franco di Morosolo, che racconta come hanno messo a posto l'ex casa parrocchiale aperta nel marzo 2016. Ci parla della scuola di italiano, dei volontari presenti giornalmente nella struttura, degli ospiti che volontariamente fanno piccoli lavoretti nelle e per le parrocchie della comunità. A Morosolo sono partiti in due, ad accogliere i migranti. Ma piano piano la partecipazione è cresciuta… pregando e operando in silenzio senza fare rumore. “Ma quante volte abbiamo dovuto dare spiegazioni e motivazioni ai tanti “chi te lo fa fare” che arrivavano spesso anche dalle file dei nostri amici”, si sfoga Franco.
Franco di Morosolo, che racconta come hanno messo a posto l'ex casa parrocchiale aperta nel marzo 2016. Ci parla della scuola di italiano, dei volontari presenti giornalmente nella struttura, degli ospiti che volontariamente fanno piccoli lavoretti nelle e per le parrocchie della comunità. A Morosolo sono partiti in due, ad accogliere i migranti. Ma piano piano la partecipazione è cresciuta… pregando e operando in silenzio senza fare rumore. “Ma quante volte abbiamo dovuto dare spiegazioni e motivazioni ai tanti “chi te lo fa fare” che arrivavano spesso anche dalle file dei nostri amici”, si sfoga Franco.
Suor Maria Grazia |
E poi Suor Maria Grazia di Santo Stefano con
Oggiona. Qui assistono 4 persone ospitate in un piccolo appartamento. Hanno
fatto un corso per panettieri e possono contare su un ragazzo con spiccate
attitudini per la sartoria. “Non siamo riusciti a coinvolgere tutta la
comunità cristiana e questo è un grande rammarico” dice suor Maria
Grazia, rattristandosi. Ora possono comunque contare sull’aiuto di 4 piccole parrocchie e di un bel gruppetto di
volontari. E poi, grazie a Coop
Intrecci ed in particolare a Federica,
tutto diventa più facile.
Suor Maria Grazia conclude emozionandosi al ricordo che, In occasione delle feste natalizie, uno degli ospiti ha loro detto “vi ringraziamo per il bene che ci volete”.
E poi, Il parroco, don Gabriele Gioia e la dott.ssa Donata di Cassano Magnago : “ abbiamo un unico obbiettivo: far sentire i nostri ragazzi a casa, lasciando che vivano le loro tradizioni, anche culinarie,in piena libertà, perché l’integrazione può partire anche da uno scambio di sapori.
Suor Maria Grazia conclude emozionandosi al ricordo che, In occasione delle feste natalizie, uno degli ospiti ha loro detto “vi ringraziamo per il bene che ci volete”.
E poi, Il parroco, don Gabriele Gioia e la dott.ssa Donata di Cassano Magnago : “ abbiamo un unico obbiettivo: far sentire i nostri ragazzi a casa, lasciando che vivano le loro tradizioni, anche culinarie,in piena libertà, perché l’integrazione può partire anche da uno scambio di sapori.
E infine un operatore di Verghera di SAMARATE, che
ci racconta di come, giorno dopo giorno, sono riusciti a trasformare in
positivo anche i rapporti con le istituzioni locali, inizialmente non facili.
LE QUERCE DI MAMRE: l’arte di accogliere.
Don Marco Bove, da poco
nominato Presidente della
Fondazione Sacra Famiglia, ex
parroco a Milano, in zona Forlanini, inizia il suo intervento presentandosi: «Non ho fatto sempre il Presidente di Sacra
Famiglia. Anch’io mi sono occupato a lungo di accoglienza, è un tema che mi è caro.
Nella parrocchia in cui fui inviato come
giovane sacerdote (ordinato nel 1987 dal card. Martini) da uno scantinato
adibito a rimessa, ricavammo un appartamento per portatori di handicap e qui
poi nacque una cooperativa che ancora oggi si occupa di dare lavoro ai
disabili. Sempre nella mia comunità, sollecitati dall’Arcivescovo iniziammo 30
anni fa ad occuparci di quelli che allora venivano definiti extracomunitari. Un
impegno che continua ancora oggi».
Un
impegno antico e profondo e lo si capisce appena passa dalla sua presentazione
personale al tema del suo intervento che
prende le mosse dal brano biblico che non da per letto, ma legge integralmente
e commenta con passione :
GENESI 18, 1-16
1 Poi il Signore apparve a lui alle
Querce di Mamre, mentre egli sedeva all`ingresso della tenda nell`ora più calda
del giorno. 2Egli alzò
gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide,
corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3 dicendo: "Mio
signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti
dal tuo servo. 4 Si vada
a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l`albero. 5 Permettete che vada a prendere
un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è
ben per questo che voi siete passati dal vostro servo". Quelli dissero:
"Fà pure come hai detto". 6
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse:
"Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce". 7 All`armento corse lui
stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si
affrettò a prepararlo. 8 Prese
latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li
porse a loro. Così, mentr`egli stava in piedi presso di loro sotto l`albero,
quelli mangiarono. 9 Poi
gli dissero: "Dov`è Sara, tua moglie?". Rispose: "E` là nella
tenda". 10 Il
Signore riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara,
tua moglie, avrà un figlio". Intanto Sara stava ad ascoltare all`ingresso
della tenda ed era dietro di lui. 11
Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò
che avviene regolarmente alle donne. 12
Allora Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare
il piacere, mentre il mio signore è vecchio!". 13 Ma il Signore disse ad Abramo: "Perché Sara ha
riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? 14 C`è forse qualche cosa
impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e
Sara avrà un figlio". 15
Allora Sara negò: "Non ho riso!", perché aveva paura; ma quegli
disse: "Sì, hai proprio riso". 16
Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall`alto,
mentre Abramo li accompagnava per congedarli.
Don
Marco, è una miniera inesauribile di riflessioni che raccoglie in tre punti. I cercherò di sintetizzarli qui
di seguito senza snaturarli:
episodio de "le querce di Mamre" -foto wordpress.com |
1. L'accoglienza nasce da un incontro, non sempre programmato, come quello di Abramo. L'incontro è quindi una sfida con cui Dio che ci prepara strade nuove. Non avviene quando lo programmiamo noi, ma quando Dio lo vuole. Quando meno te lo aspetti, ti raggiunge forte, imprevisto e spiazzante il gridò del fratello, come nel racconto, ai margini del deserto e nell'ora più calda del giorno. L’ora in cui accogliere è vitale per i viandanti, ma snervante per chi li ospita.
Eppure Abramo
non si chiede chi sono, accoglie, anzi si precipita ad accogliere, e lo fa senza condizione. Sono in tre, ma il
colloquio è al singolare... accogliere chi arriva alla porta può significare accogliere il Signore. Questo mi
ricorda un altro passo famoso: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni
praticandola hanno accolto degli angeli senza saperlo” (Eb 13,2). Prima ancora di sapere chi sei, da
dove vieni ti accolgo.
2. La prima cosa che fa Abramo è compiere gesti di cura ( che è rispetto, attenzione.... ) fa
accomodare gli’ospiti all'ombra e porge loro dell’acqua. Offrire l'ombra e un
posto a sedere significa offrire
lo spazio delle nostre relazioni umane.
Poi Abramo coinvolge la moglie e il servo... perché ciascuno possa portare il suo contributo. L'accoglienza non può farla una sola persona,non basta. Deve diventare sempre un gesto di Chiesa, comunitario. Vincendo le diffidenze e lottando a viso aperto contro atteggiamenti di rifiuto spesso esplicitamente razzisti.
Poi Abramo coinvolge la moglie e il servo... perché ciascuno possa portare il suo contributo. L'accoglienza non può farla una sola persona,non basta. Deve diventare sempre un gesto di Chiesa, comunitario. Vincendo le diffidenze e lottando a viso aperto contro atteggiamenti di rifiuto spesso esplicitamente razzisti.
Già,
perché proprio nelle stesse ore in cui noi ascoltavamo soddisfatti e grati le
parole di don Marco sull'accoglienza, le
Agenzie di stampa trasmettevano le ultime dichiarazioni
di Salvini dalla provincia di Genova:
“Ci vuole una pulizia di massa anche in
Italia”. A Recco per la campagna di tesseramento
del Carroccio, Matteo Salvini torna a usare toni forti sui migranti.
Secondo il leader della Lega Nord, occorre
effettuare una pulizia “via per via, quartiere per quartiere e con le
maniere forti se serve, perché ci sono interi pezzi d’Italia fuori controllo”.
“Non vedo l’ora – ha quindi
aggiunto – una volta al Governo, di
controllare i confini come si faceva una volta e usare le navi della Marina
Militare per soccorrere e riportare indietro i finti profughi” (http://www.lanotiziagiornale.it/
)
Parole nere quelle di Salvini da cui emanano
miasmi di morte, esse sono degne solo delle peggiori squadre fasciste. Meglio
tornare a questo al brano della Genesi: "..Sara avrà un figlio". L’Accoglienza è Vita che genera Vita, porta frutti. Accogliere ci
rende fecondi e felici. Ma chissà se questo Salvini e i tanti che condividono i
suoi proclami xenofobi possono capirlo !
3. "Sara ride" perché conosce i suoi limiti biologici. L’incredulità di Sara ricorda quella di Zaccaria nel nuovo testamento, quando gli viene comunicato della nascita di Giovanni Battista, ma anche “ come sarà possibile? di Maria all’Angelo . E ci ricorda le diffidenze intorno a noi, ragionevoli, certo, ma più ragionevole è mettersi nelle mani di Dio. Accogliere è un atto di fede è una sfida e una promessa di vita e di futuro.
L’accoglienza e la Costituzione
Il convegno si
conclude con l’intervento del Direttore di Caritas ambrosiana, Luciano
Gualzetti che sposta il tiro dal piano della fede a quello civile, dei diritti Costituzionali
e si sofferma su tre punti che spero di sintetizzare con chiarezza.
1.Il Direttore di Caritas ambrosiana, la diocesi più grande
d’Italia, si appella direttamente alla
Costituzione e all’articolo 10 che così recita:
Articolo
10 -
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute.
La condizione
giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e
dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto
d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla
legge.
Non è ammessa l'estradizione dello
straniero per reati politici.
Parliamo
quindi di “diritto d’asilo”, di qualcosa che quindi non
riguarda unicamente le situazioni di guerra, come la propaganda bugiarda
delle destre v orrebbe far credere, ma riguarda “l'effettivo esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana“, le libertà garantite dalla nostra
Costituzione, non mezze libertà o finte libertà!
L’accoglienza
è un diritto di civiltà e di umanità. Quindi accogliere non è solo la nostra
vocazione cristiana ma è un dovere costituzionale verso il quale nessun
muro può essere innalzato.
2.Gualzetti alza ancora il tiro e la sua posizione mi appare
sempre più radicale, coerente ed evangelica, anche se il piano del discorso è
assolutamente laico: “ tutta la comunità ha il dovere di guardare
alle cause strutturali che sono all'origine della povertà che affligge oltre
1miliardo di persone e proporre anche nuove forme di produzione, nuovo modo di
fare economia. La Caritas ha il compito di guardare le cause e offrire
una rappresentazione che vada oltre il
fenomeno. “Vogliamo uscire dalla logica tra buonismo e cattivismo... dire
a testa alta che anche queste piccole accoglienza contribuiscono a depotenziare
situazioni altrimenti insostenibili” . E se proprio dovessi scegliere,
aggiungo io, direi che preferisco il mio buonismo imperfetto al cattivismo di
tanti, lucido e senza sbavatura alcuna
nella sua perversione razzista e fascista.
3.Va contrastata con
decisione l’abitudine di etichettare
come “clandestini “ tutti i richiedenti asilo perché certamente
non lo sono quanti sono prelevati in mare o arrivano alle nostre frontiere e
presentano richiesta d’asilo. Ritenerli
e additarli come clandestini è un inganno e una falsità facilmente
dimostrabili che – nell’immediato- genera paure e diffidenza , ma a lungo
andare alimenta una cultura di chiusura
e di rifiuto del diverso, del migrante, che può spingersi fino alla xenofobia,
un sentimento razzista che non fa parte della nostra cultura.
Luciano Gualzetti chiude il suo intervento
dandoci i compiti da fare a casa e l’appuntamento al prossimo convegno per una
nuova verifica del lavoro svolto. “I compiti a casa” o, meglio, in comunità:
1. accompagnare nel loro cammino le comunità che già accolgono.
2. creare nuove comunità accoglienti.
3. partecipare alla gestione di iniziative concrete sul territorio, per la crescita di una cultura dell’accoglienza
3. coinvolgere tutta la comunità parrocchiale e civile in un progetto di accoglienza concreta.
1. accompagnare nel loro cammino le comunità che già accolgono.
2. creare nuove comunità accoglienti.
3. partecipare alla gestione di iniziative concrete sul territorio, per la crescita di una cultura dell’accoglienza
3. coinvolgere tutta la comunità parrocchiale e civile in un progetto di accoglienza concreta.
E’
stata una giornata intensa, di cui sono
grato a tutti i partecipanti, dai relatori, ai volontari che hanno
portato le loro testimonianze a quelli che invece hanno semplicemente ascoltato
e pregato,come me contenti di esserci. Ma soprattutto grazie a tutti per avermi
fatto sentire fiero di essere cristiano,
cattolico e vicino agli ultimi con Caritas, con Cristo !
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