«Adamo dove sei?», «Caino, dov’è il tuo fratello?»

 8 luglio 2013: Papa Francesco durante l'omelia a Lampedusa. 

Ieri mattina, come di consueto, ho partecipato alla S. Messa domenicale presso la Chiesa dei Cappuccini, in viale Borri a Varese. La Messa , secondo il Rito Romano, è stata celebrata da padre Gianni Terruzzi.  Io sono arrivato un pò prima, per caso. Ma il caso può essere talvolta veramente  provvidenziale  e così ho colto l’occasione per accostarmi subito al tema della  liturgia del giorno con l’aiuto del foglietto “ la Domenica”. Per  questa  15^ domenica del tempo ordinario  il tema è stato “farsi prossimo di tutti, senza fare distinzioni”;  in perfetta coerenza  col  cuore della “ Liturgia della Parola” , il brano del Vangelo  tratto da Luca ( 10, 25-37)era quello  in cui Gesù ci racconta la  parabola del “ buon samaritano “.
“Un dottore della legge...disse a  Gesù: E chi è il mio prossimo?”  e Gesù gli risponde con la parabola che tutti conosciamo, quella del buon samaritano che termina con un dialogo stupendo nella sua sobrietà verbale e nella sua forza esistenziale.  [Gesù gli chiese] “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà  lo stesso».
 Proprio questa parabola, tanto conosciuta quanto disattesa,  con i suoi interrogativi per niente retorici  o irreali, mi ha subito riportato con la mente a Lampedusa,  su quel lembo d’Italia  posto nel cuore del mediterraneo, che  fa da “porta  verso l’Europa “ per  tanti  disperati del sud del mondo, in cerca di speranza, di futuro.
Su quel lembo di terra, lunedì 8 luglio ( esattamente una settimana fa )Papa Francesco è andato  a celebrare una Messa  penitenziale,  e ad onorare con una corona di fiori lanciata in mare, le decine di migliaia di vittime inghiottite dal mediterraneo pronunciando parole che non dovremo mai più dimenticare.  Parole che profumano  di “Verità evangelica” e che dovrebbero  “ fare la differenza “ per i cattolici impegnati in politica ( a prescindere dal partito, movimento o area in cui militano ).  Invece anche quel discorso, e la visita stessa a Lampedusa, per molti  sono diventati  “pietra d’inciampo” anziché “pietra d’angolo” : basti pensare alle affermazioni di Cicchitto ( il “trombettiere del pensiero berlusconiano”,  come lo ha definito su Famiglia Cristiana, don Sciortino, QUI ) che ha  ridotto  tutto alla  “facilità del predicare , contro la  difficoltà del governare” . Come se non fosse proprio questo papa, che emblematicamente  si è dato il nome di Francesco , ad aver già dato segni forti a proposito del  dovere  per ognuno di noi di riconciliare ogni giorno, in ogni occasione il “dire” con il “fare”.  Alle dichiarazioni di Cicchitto, hanno poi fatto seguito quelle di una lunga schiera di notabili PdL e Lega... l’una più grave e irriguardosa dell’altra fino a quelle farneticanti  di Boso. E nessun cattolico di spicco  di quell’area  è intervenuto per condannarle , lamenta don Sciortino, sempre su Famiglia Cristiana ( QUI )
Lampedusa, papa Francesco tra un gruppo di immigrati.
Mi ha sottratto a questi pensieri la campanella che annunciava l’inizio della Messa e l’ingresso del celebrante,  padre Gianni, l’infaticabile animatore di RMF  ( Radio Missione Francescana e relativo sito web, QUI ) . Passano solo pochi minuti e, finite le Letture dei testi sacri, ci pensa proprio padre Gianni , nella sua omelia,  a ricondurmi di nuovo, e con me  questa volta  tutti i presenti,  a Salina  di Lampedusa, dove lunedì 8 luglio papa Francesco è andato per “ farsi prossimo” di  tanti uomini, donne e bambini “vittime di briganti” e dare testimonianza ai  tanti “ samaritani” che a Lampedusa , in mare e sull’isola, ne hanno avuto “compassione” e si sono chinati a soccorrerli.
Ecco,  mentre padre Gianni  annunciava che non si sarebbe limitato  a richiamare l’omelia che il papa fece quel lunedì  e si accingeva  a  leggerla tutta , mi pareva  di rivivere la diretta televisiva di lunedì scorso. L a  decisione di padre Gianni mi ha provocato un’emozione profonda,  e non credo di essere stato l’unico a vivere intensamente quei minuti , perché  l’intera Assemblea  è sembrata entrare in una dimensione diversa: il silenzio in chiesa si è fatto totale e le parole calme e ferme di papa Francesco, pronunciate dalle labbra di padre Gianni, si diffondevano nella Chiesa con una solennità  e una intensità particolare. Pareva che addirittura  prendessero corpo, che saturassero l’aria  fino a farmi sentire  immerso in esse, pervaso dalla loro forza e portata rivoluzionaria. Mi sono sentito  orgoglioso della mia identità cristiana, cattolica, mi sono sentito fortunato per  essere lì in quel momento così fortemente evocativo. Mi sono sentito orgoglioso di questo papa, del suo nome  “Francesco” ( un nome che mi è stato caro e familiare fin dall’adolescenza ) . Insomma  ho riprovato le stesse identiche emozioni che ha  intensamente provato  ogni credente, anzi ogni uomo o donna di buna volontà, ascoltandole quel lunedì 8 luglio.
Ringrazio padre Gianni per la scelta che ha fatto e , anziché limitarmi ( anch’io ) a segnalarvi il link all’omelia di papa Francesco, la riporto qui di seguito per intero: vale veramente la pena leggere e meditare, soprattutto per chi non ha seguito la diretta dell’8 luglio e per chi non l'ha letta integralmente sulla stampa.

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
in visita a LAMPEDUSA
Campo sportivo "Arena" in Località Salina 

Lunedì, 8 luglio 2013

“ Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte “. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie! Grazie anche all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto, il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco signora Giusi Nicolini, grazie tanto per quello che lei ha fatto e che fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!
Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti.
«Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!
Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.
«Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E una volta ancora ringrazio voi abitanti di Lampedusa per la solidarietà. Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare.
«Dov’è il tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!
Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto.
«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?
Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!
Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?». 
© Copyright - Libreria Editrice Vaticana


Il testo che avete appena letto, lo trovate anche  QUI 

Commenti

  1. Caro Giovanni, vorrai perdonarmi se ritorno sul tema, tanto bruscamente interrotto qualche sera fa, tentando di evidenziare il mio complicato e controverso sentire.
    Breve, inutile, ma onesta premessa : nonostante tutto creda non sia da ritenersi impresa troppo ardua consentire anche a me, nonostante la mia dichiarata assenza religiosa, di esprimermi con sincero trasporto rispetto a frasi, discorsi e prese di posizione del Papa, in particolare quando riguardano vicende "sociali" come nel caso ora in oggetto.
    Belle, sicuramente belle e buone parole, pensate e vissute dalla mente e dall'anima di un uomo sincero portatore del contenuto evangelico ma, al medesimo tempo, nel rispetto e nella valorizzazione dell'essere umano tutto tondo. Oltre a tutta l'attenzione rivolta all'uomo sofferente, mi piace evidenziare, ancora una volta,la mia personale chiave di lettura circa il messaggio di auguri agli immigrati musulmani: ho l'ardire di vedere in esso il riconoscimento dell'assolutezza dell'uomo, rivolta, in questa occasione, alla sua necessità di trascendenza, prescindendo dal Dio nel quale essa trova compimento. Posso vederti storcere il naso di fronte a questa mia personale interpretazione, questa è anche la bellezza del confronto.
    Certo, il richiamo all'opulenza ed all'indifferenza potrebbero anche apparire come un giudizio fin troppo severo, in primo luogo perchè parla di una ricchezza delle genti probabilmente non piu' esistente ed inoltre non sembrerebbe fare giustizia nei confronti dei tanti esempi di partecipazione ed accoglienza manifestati, anche nei fatti, da molti.
    Un'ultima nota riguardante il tuo richiamo dell'onorevole Cicchitto, del quale, come è noto, non nutro particolare stima. Non ho letto il suo intervnto, pero' non me la sento di liquidare la sua frase con una smorfia di disgusto. Sono del tutto propenso a riconoscere l'esistenza di una distanza siderale tra le migliori intenzioni e le buone scelte operative, capaci di fornire risposte concrete e positive a problemi tanto grandi.
    Capisco perfettamente il senso delle parole del Papa, esse richiamano la necessità di un modo di sentire oltre che di essere, pero', allo stesso tempo,non posso ritenerle consolatorie rispetto alla consapevolezza di impotenza che mi coglie quando mi pongo di fronte alla reale natura di questi problemi.
    Il tema è di una ricchezza straordinaria, richiederebbe delle ore.

    Un saluto

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