Benedetto XVI ...come Celestino V: umile e coraggioso !
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| Foto tratta da "huffington post": Benedetto XVI il 6 aprile 2009 , in visita alla città dell'Aquila , depone il suo pallio sull'urna di Celestino V . |
Ieri
Papa Benedetto XVI ha rassegnato le dimissioni sorprendendo, con una decisione
insolita e coraggiosa – certamente foriera
di grandi novità per la Chiesa- non solo l’intero mondo cattolico sparso
nei 5 continenti, ma ogni persona
attenta a quanto avviene nella vita della Chiesa cattolica. Ho appreso la
notizia quasi in diretta, attraverso Sky, provando un turbamento profondo ed
insieme un senso di serenità e di
comprensione profonda per una decisione da
cui traspare tutta l’ umanità e l’umiltà di un Papa che pure, alla sua
elezione, non mi aveva entusiasmato.
Ho imparato ad amare Papa Benedetto col tempo,
approfondendo il suo pensiero attraverso le sue encicliche e gli scritti, ricchi di
fede, di amore e di richiami alla “giustizia sociale “ fatti con una radicalità
che mai avrei immaginato di trovare in un Papa che, alla sua elezione, avevo
giudicato anch’io conservatore.
Oggi più che mai
sono convinto che le sue encicliche, ed in particolare la “Caritas in veritate”, meritassero più attenzione, anche dalle
classi dirigenti di questo paese e non solo dai fedeli. Vi aiuterà ad averne contezza la lettura –
che qui vi ripropongo - dei paragrafi 6)
e 7) dell’INTRODUZIONE della lettera
enciclica “Caritas in veritate “ del 29 giugno 2009:
6. « Caritas
in veritate » è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della
Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi
dell'azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in
special modo dall'impegno per lo sviluppo in una società in via di
globalizzazione: la giustizia e il bene comune.
La giustizia anzitutto. Ubi
societas, ibi ius: ogni società elabora un proprio sistema di
giustizia. La carità eccede la
giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma non è
mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo”, ciò
che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso « donare » all'altro del mio,
senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia.
Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia
non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla
carità: la giustizia è « inseparabile
dalla carità » [1],
intrinseca ad essa. La giustizia è
la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, « la misura
minima » di essa [2],
parte integrante di quell'amore « coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,18), a cui esorta
l'apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia: il
riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei
popoli. Essa s'adopera per la costruzione della “città dell'uomo” secondo
diritto e giustizia. Dall'altra, la carità supera la giustizia e la completa
nella logica del dono e del perdono [3].
La “città dell'uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma
ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di
comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di
Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel
mondo.
7. Bisogna poi
tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il
suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle
persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da
individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale [4].
Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della
comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente
conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità.
Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi,
dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente,
civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo
prende forma di pólis, di
città. Si ama tanto più efficacemente il
prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi
reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della
sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale
— possiamo anche dire politica — della carità, non meno qualificata e incisiva
di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle
mediazioni istituzionali della pólis.
Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza
superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico. Come ogni impegno
per la giustizia, esso s'inscrive in quella testimonianza della carità divina
che, operando nel tempo, prepara l'eterno. L'azione dell'uomo sulla terra,
quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all'edificazione di
quella universale città di Dio
verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di
globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere
le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli
e delle Nazioni [5],
così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione
prefiguratrice della città senza barriere di Dio.
Note
[1] Paolo VI, Lett. enc. Populorum
progressio (26 marzo 1967), 22: AAS 59 (1967), 268; cfr Conc. Ecum.
Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 69.
[3] Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per
la Giornata Mondiale della Pace 2002: AAS 94 (2002), 132-140.
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| Benedetto XVI mentre, al termine del Concistoro dell'11 febbraio 2013, da lettura della sua "rinuncia". |
Da “L’Osservatore Romano
riprendiamo “le parole con cui Benedetto XVI, al termine del
Concistoro ordinario pubblico tenuto lunedì mattina, 11 febbraio, nella Sala
del Concistoro del Palazzo Apostolico, ha annunciato la decisione di «rinunciare
al minstero di vescovo di Roma”.
DECLARATIO
Fratres
carissimi
Non solum propter tres canonizationes ad hoc
Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro
Ecclesiae vita communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo
explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam
aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum.
Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam
spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo
et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et
quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri
gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae
necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut
incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere
debeam. Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro
me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus
Cardinalium die 19 aprilis MMV commissum renuntiare ita ut a die 28 februarii
MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum
novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse.
Fratres carissimi, ex toto corde gratias ago vobis pro
omni amore et labore, quo mecum pondus ministerii mei portastis et veniam peto
pro omnibus defectibus meis. Nunc autem Sanctam Dei Ecclesiam curae Summi eius
Pastoris, Domini nostri Iesu Christi confidimus sanctamque eius Matrem Mariam
imploramus, ut patribus Cardinalibus in eligendo novo Summo Pontifice materna
sua bonitate assistat. Quod ad me attinet etiam in futuro vita orationi
dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim.
Ex Aedibus Vaticanis, die 10
mensis februarii MMXIII
BENEDICTUS
PP. XVI
traduzione in italiano
Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l'amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell'eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l'amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell'eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.
Dal Vaticano, 10 febbraio 2013
BENEDETTO PP. XVI


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