Dopo Martini, con Martini...



In Duomo, 03 settembre 2012, al termine della Messa delle ore 09,00
Ai funerali del cardinale Martini ho “partecipato” seguendo la diretta televisiva da casa, perché  non avrei retto lo sforzo fisico di un intero pomeriggio in piazza Duomo, sotto la pioggia. In Duomo, a rendergli omaggio, ci sono andato al mattino di buon’ora, per non essere distratto dal traffico, dal flusso di gente che inevitabilmente sarebbe cresciuto col passare delle ore fino al picco delle ore 16,00 e un pò anche dalle coreografie del rito. Ho rinunciato al fascino e alla emozione di vivere in piena  immersione, il momento clou di  giornata, ma questo mi ha consentito di raccogliermi senza troppe distrazioni vicino alla sua bara chiusa, nuda, proprio come “nudi” siamo tutti nel momento in cui ci presentiamo al Padre, al termine del nostro passaggio sulla terra. Non dimenticherò facilmente quelle ore: la sua bara, lo scorrere lento e sereno della gente,  persone di ogni età, di ogni colore, di ogni cultura e  forse di ogni fede ( come mi sembrava di percepire dalle fogge dei vestiti, dai copricapo, ecc...) tutto, compreso le celebrazioni dell’Eucarestia, che si sono succedute per tutta la mattinata quasi sottovoce come un mistico sottofondo, sembrava concorrere alla creazione di una comunione profonda e palpabile tra  i fedeli e il loro Vescovo che se ne andava al Padre.

Eppure, nonostante le tantissime manifestazioni di affetto che si sono registrate, devo dire con amarezza di essere stato scosso anche io da polemiche di violenza incredibile,  in particolare nei confronti della scelta del cardinale di rinunciare all’accanimento terapeutico, di non opporre cioè resistenza, all’epilogo ormai ineluttabile a cui ormai il suo male lo conduceva, attraverso la morte terrena,  alla pienezza della Vita, alla ricongiunzione col Padre.

E a proposito di amrezze per queste incredibili polemiche, mi ritraggo e lascio la parola a don Renato Sacco.

Giovanni de Rosa


" Ci sarà tempo e modo ... "

5 settembre 2012  -
L’opinione di…   Renato Sacco  - 
www.mosaicodipace.it

Neanche nelle peggiori famiglie, quando muore qualcuno che non è proprio… come dire? ‘simpatico’ ci si accanisce contro così tanto.  Almeno nei giorni della morte. Almeno nei giorni in cui la salma è ancora lì, presente. Perché c’è quel minimo di pudore che ancora guida i nostri comportamenti. Conosciamo tutti famiglie che vivono tensioni interne, anche molto pesanti; figli che non parlano con i genitori o viceversa. Ma quando arriva la morte, almeno si fa silenzio. Si tace. Davanti a un mistero grande,  che ci invita a riflettere anche sulla nostra vita, non solo sulla vita di chi muore. 

Probabilmente non la pensa così Antonio Socci, che su Libero del 2 settembre, mentre la salma del Vescovo è ancora esposta in Duomo pubblica un articolo feroce, e astioso. Pieno di livore nei confronti di una persona (non lo nomino per non mescolarlo in queste polemiche di bassa lega) che è stata per anni il suo Vescovo.

Non era forse il caso di rispettare i morti con un sano silenzio? Se non si vuole parlarne bene (ed è legittimo) non era meglio tacere? Invece, si leggono critiche pesanti contro la persona, non soltanto contro le sue idee. Fino ad arrivare quasi alla presunzione di sostituirsi a Colui che chiederà conto ad ognuno di noi di come abbiamo vissuto.

Pensavo fosse un compito del Padre Eterno. Invece il giornalista Socci, dimostrando profonda conoscenza di come funzionano le cose anche lassù… scrive: “Spero che il cardinale abbia conservato la fede fino alla fine. Le esaltazioni di Scalfari, Dario Fo, ‘Il Manifesto’, Cacciari, gli sono inutili davanti al Giudice dell’universo (se non saranno aggravanti)”.

Perché tanto livore? Perché tanta acredine? Perchè neanche davanti alla morte cercare un po’ di serenità? L’articolo di Socci sembra scritto quasi con spirito di vendetta, da consumarsi il più presto possibile.

Perché?
Quanta amarezza!

“Ci sarà tempo e modo di riflettere sulla sua figura e sulla sua lezione”, scrive sul sito di Pax Christi (www.paxchristi.it) mons Giovanni Giudici,  per anni Vicario Generale a Milano e ora Vescovo di Pavia e Presidente Nazionale di Pax Christi. “In queste ore, basti il ricordo della sua attenzione alle ragioni alte della giustizia e della pace, come pure del tratto umano di rispetto per ogni persona… In certo modo l’essersi lasciato lui stesso plasmare dalla Parola di Dio mostra quale è la radice e lo sfondo della sua testimonianza”.

Sì, ci sarà tempo per riflettere, per rimettersi in cammino, per ritrovare serenità e speranza, guidati dalla Lampada che fa luce ai nostri passi.

d. Renato Sacco
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 Altare del Crocefisso di San carlo Borromeo, 
ai cui piedi  è stato sepolto il card. Carlo Maria Martini 

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