L'Uomo dei dolori. Iconografie del Cristo morto.
"Il Compianto" ,Giotto -Cappella degli Scrovegni, Padova . |
Mercoledì sera 16 marzo, a Morazzone, come ampiamente annunciato, si è
tenuto l’evento “L’Uomo dei dolori.
Iconografie del Cristo morto”. E’ stato un successo, annunciato, ma non per questo meno gradito ed apprezzato.
E non poteva essere diversamente dopo la applauditissima “prima assoluta “ che si era tenuta qualche sera
prima ( esattamente il 10 marzo) presso il convento dei Cappuccini di Varese.
Per Morazzone e per gli organizzatori locali - il Circolo Acli don Tonino Bello,
col sostegno della Parrocchia e di RMF – non solo è stato un successo, ma anche
un chiaro segnale di buon auspicio,
trattandosi della prima iniziativa pubblica dopo l’inaugurazione della nuova
sede Acli (Morazzone, via Mazzucchelli
15/17 ) e la celebrazione del congresso di Circolo.
Ma veniamo all’Evento: dopo l’introduzione da parte di G. deRosa ( in assenza del presidente del circolo, Luca Giudici) che ha presentato
i relatori e chiarito il ruolo che le Acli svolgono in campo sociale e culturale, oltre che
religioso, la parola è passata subito ai tre relatori che ci hanno trattenuto per quasi due ore:
Valerio Crugnola parte da lontano, dal nord Europa ove la bellezza delle opere è assoluta almeno tanto quanto la sofferenza che vi è rappresentata. Ci mostra subito la Crocifissione Grunewald, il Polittico di Isernheim, Colmar. Ce ne mostra i particolari , sottolinea la smorfia dolorosa del volto e della bocca, le mani, i piedi lividi e scorticati, e sul capo una foresta di spine. Il corpo di Gesù è imponente domina dall’alto su piccole disperate figure umane. E sui tratti cadaverici del Cristo morto insiste, Valerio, mostrando il dipinto del Mantegna e quello di Hans Holbein. Il Cristo nella bara di Hans Holbein il giovane, nonostante un guizzo di luce nell’unico occhio visibile, è un’opera d’arte inquietante, del tutto simile nel colore dell'incarnato,livido al punto da apparire prossimo alla putrefazione . In proposito, Valerio ci ricorda che Dostoevskij, nell’”Idiota “ , fa dire ad uno dei personaggi che “più di uno guardando questo quadro può perdere la fede”. Nella chiesa decanale di Azzate si conserva una copia originale di questo dipinto, che in piena coerenza con l’iconografia nordica ( a differenza di quella Russa e Bizantina, più vicina a Dostoevskij) è di un realismo estremo che inquieta e certamente fa ritrarre . A proposito del “ritrarsi” Valerio si addentra poi nei concetti di “oscenità “ della morte ,oscenità nel senso di “fuori scena”, non rappresentabile e da non rappresentare … fino alla “pornografia”, non certo in senso letterale, ma per la morbosità con cui a volte ci tratteniamo ad osservare corpi particolarmente devastati. Si guarda per voyerismo ( e questo fa si che Valerio parli di pornografia) e questo non annulla il fatto che la morte, il cadavere è uscito dalla nostra scena quotidiana . Moriamo in solitudine, e questo è vero in particolare per la nostra generazione di sessantenni. La morte infatti ci coglie sempre più spesso “fuori casa” ( magari in un “hospice”) ,affidati alle mani di esperti e professionisti , senza più la vicinanza e le pietose cure dei familiari . Insomma tendiamo ad allontanare sempre più da noi quella morte che pure il cristianesimo ( più d’ogni altra religione) ci aveva aiutato ad “addomesticare “ , inteso nel senso più strettamente etimologico del termine, ossia di portare “ad domum “, ricondurre ad una dimensione familiare.
La serata si è chiusa con un “quarto tempo” dedicato allameditazione individuale e silenziosa, ( clicca per andare a video ) alimentata dalle immagini suggestive di oltre 300 opere d’arte prodotte dal XII al XX secolo, aventi come tema la morte , la deposizione, il compianto e la sepoltura del Cristo.
P.
Gianni Terruzzi, interviene per primo e si trattiene subito su
quello strumento di morte che chiamiamo croce e che veniva usato dai romani per
dare la morte, ma anche per mostrare la morte, ed era questo aspetto a rendere la morte di croce ancora più
ignominiosa. Resti archeologici di croci, e crocifissi, ci consentono di non
avere più alcun dubbio sulla correttezza dei racconti evangelici in merito. Poi
p. Gianni passa a commentare la “passione “ secondo Marco, l’evangelista che ha
scritto per primo, e si sofferma sulla estrema solitidine di Gesù: quel Padre
che almeno in due occasioni (Battesimo
nel Giordano e Trasfigurazione sul Tabor) aveva parlato di Gesù come l’amato, “Questi
è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.
Ascoltatelo”, aveva detto. Eppure ora che il Cristo è vicino ad esalare
l’ultimo respiro e geme esclamando “Dio mio , Dio mio, perché mi hai
abbandonato ? “, questo Padre TACE !
Gesù è solo nel momento della morte ed è proprio questo, ancor più che la morte
in sé, che lo rende del tutto simile agli uomini. I discepoli sono scappati: erano i attesa di Messia vincente ed ora sono confusi,
non capiscono. Lo riconosceranno poi, dallo spezzare del Pane, lungo la strada
per Emmaus, oppure mettendo le dita nelle sue piaghe…avremmo fatto anche noi
così, perché anche noi siamo sempre in attesa di un Capo vincente.
Enrico
Cerri, commentando da
critico d’arte appassionato e competente opere d’arte famosissime che vanno dal
Crocefisso di Mastro Guglielmo, un Cristo che pur essendo in croce appare
trionfante, quasi ad annunciare la sua imminente Resurrezione (Christus triumphans).
Il dipinto risale al
XII secolo ed è esposto nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Sarzana. E poi il Crocefisso di Cimabue esposto in
Santa Croce a Firenze ( ancora bellissimo nonostante i danni subiti a causa
dell’alluvione ) in cui il Cristo ha smesso la postura “triumphans”, per assumere quella dolente, già presente da tempo
nella pittura d’oltralpe . Ci parla di
Giotto e del “compianto” della Cappella degli Scrovegni in Padova, ove al
dolore dei volti si accompagna la pietà dei gesti, con tre donne che sorreggono
il capo le mani e piedi di Gesu, mentre Maria lo cinge a sé , e quasi posa le
sue guance su quelle di Gesù .. e un velo blu li cinge quasi a sottolineare
l’abbraccio. E ciparla dei Crocefissi di Donatello e Brunelleschi e delle
differenze stilistiche che sottolinea con un aneddoto. Ci parla della Pietà di
Michelangelo giovane , così
perfetta,così composta, così dolce da aver conquistato il mondo e la
raffronta all’altra pietà, anchessa di Michelangelo, la Pietà Rondanini, così
diversa, incompiuta, eppure così espressiva, così moderna. E poi il Cristo
morto del Carracci, il Cristo deposto nel sepolcro, collezione Luigi Koelliker,
opera del Morazzone, e ancora tante opere.
Valerio Crugnola parte da lontano, dal nord Europa ove la bellezza delle opere è assoluta almeno tanto quanto la sofferenza che vi è rappresentata. Ci mostra subito la Crocifissione Grunewald, il Polittico di Isernheim, Colmar. Ce ne mostra i particolari , sottolinea la smorfia dolorosa del volto e della bocca, le mani, i piedi lividi e scorticati, e sul capo una foresta di spine. Il corpo di Gesù è imponente domina dall’alto su piccole disperate figure umane. E sui tratti cadaverici del Cristo morto insiste, Valerio, mostrando il dipinto del Mantegna e quello di Hans Holbein. Il Cristo nella bara di Hans Holbein il giovane, nonostante un guizzo di luce nell’unico occhio visibile, è un’opera d’arte inquietante, del tutto simile nel colore dell'incarnato,livido al punto da apparire prossimo alla putrefazione . In proposito, Valerio ci ricorda che Dostoevskij, nell’”Idiota “ , fa dire ad uno dei personaggi che “più di uno guardando questo quadro può perdere la fede”. Nella chiesa decanale di Azzate si conserva una copia originale di questo dipinto, che in piena coerenza con l’iconografia nordica ( a differenza di quella Russa e Bizantina, più vicina a Dostoevskij) è di un realismo estremo che inquieta e certamente fa ritrarre . A proposito del “ritrarsi” Valerio si addentra poi nei concetti di “oscenità “ della morte ,oscenità nel senso di “fuori scena”, non rappresentabile e da non rappresentare … fino alla “pornografia”, non certo in senso letterale, ma per la morbosità con cui a volte ci tratteniamo ad osservare corpi particolarmente devastati. Si guarda per voyerismo ( e questo fa si che Valerio parli di pornografia) e questo non annulla il fatto che la morte, il cadavere è uscito dalla nostra scena quotidiana . Moriamo in solitudine, e questo è vero in particolare per la nostra generazione di sessantenni. La morte infatti ci coglie sempre più spesso “fuori casa” ( magari in un “hospice”) ,affidati alle mani di esperti e professionisti , senza più la vicinanza e le pietose cure dei familiari . Insomma tendiamo ad allontanare sempre più da noi quella morte che pure il cristianesimo ( più d’ogni altra religione) ci aveva aiutato ad “addomesticare “ , inteso nel senso più strettamente etimologico del termine, ossia di portare “ad domum “, ricondurre ad una dimensione familiare.
Ma sarebbe per noi presuntuoso, oltre che riduttivo pensare di
poter sintetizzare qui la ricchezza di quelle riflessioni così “dense di contenuti”, e non lo faremo . Possiamo
però anticipare che,
grazie al lavoro di alcuni volontari, a Morazzone, e dei tecnici di
Radio Missione Francescana, per la serata di Varese, i tre interventi verranno
presto pubblicati.
La serata si è chiusa con un “quarto tempo” dedicato allameditazione individuale e silenziosa, ( clicca per andare a video ) alimentata dalle immagini suggestive di oltre 300 opere d’arte prodotte dal XII al XX secolo, aventi come tema la morte , la deposizione, il compianto e la sepoltura del Cristo.
La colonna sonora è il “Miserere mei Deus” di Gregorio Allegri (Roma, 1582 circa – Roma, 17 febbraio 1652),
composto per l’inaugurazione della Cappella Sistina in Vaticano.
Quando si sono riaccese le luci è
scattato un ultimo applauso caldissimo e , dal pubblico è esplicitamente venuta
la richiesta di altri incontri con le
stesse modalità.
Da
tutti i presenti, dai soci Acli e da chi scrive: un sincero grazie a P. Gianni Terruzzi, ad
Enrico Cerri e Valerio Crugnola e a
tutti tantissimi auguri di Buona Pasqua, con Cristo Risorto !
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