L'Uomo dei dolori. Iconografie del Cristo morto.


"Il Compianto" ,Giotto -Cappella degli Scrovegni, Padova .



Mercoledì sera 16 marzo, a Morazzone, come ampiamente annunciato, si è tenuto l’evento  “L’Uomo dei dolori. Iconografie del Cristo morto”. E’ stato un successo, annunciato,  ma non per questo meno gradito ed apprezzato. E non poteva essere diversamente dopo la applauditissima “prima assoluta “ che si era tenuta  qualche sera  prima ( esattamente il  10 marzo)  presso il convento dei Cappuccini di Varese.
Per Morazzone e per gli organizzatori locali - il Circolo Acli don Tonino Bello, col sostegno della Parrocchia e di RMF – non solo è stato un successo, ma anche un chiaro segnale  di buon auspicio, trattandosi della prima iniziativa pubblica dopo l’inaugurazione della nuova sede Acli  (Morazzone, via Mazzucchelli 15/17 ) e la celebrazione del congresso di Circolo.
Ma veniamo all’Evento: dopo l’introduzione da parte di  G. deRosa ( in assenza del presidente del circolo, Luca Giudici) che ha presentato i relatori e chiarito il ruolo che le Acli svolgono  in campo sociale e culturale, oltre che religioso, la parola è passata subito ai tre relatori  che ci hanno trattenuto per quasi due ore:


P. Gianni Terruzzi,   interviene per primo e si trattiene subito su quello strumento di morte che chiamiamo croce e che veniva usato dai romani per dare la morte, ma anche per mostrare la morte, ed era questo aspetto  a rendere la morte di croce ancora più ignominiosa. Resti archeologici di croci, e crocifissi, ci consentono di non avere più alcun dubbio sulla correttezza dei racconti evangelici in merito. Poi p. Gianni passa a commentare la “passione “ secondo Marco, l’evangelista che ha scritto per primo, e si sofferma sulla estrema solitidine di Gesù: quel Padre che almeno in due occasioni  (Battesimo nel Giordano e Trasfigurazione sul Tabor) aveva parlato di Gesù come l’amato, “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”, aveva  detto.  Eppure ora che il Cristo è vicino ad esalare l’ultimo respiro e geme esclamando “Dio mio , Dio mio, perché mi hai abbandonato ? “,   questo Padre TACE ! Gesù è solo nel momento della morte ed è proprio questo, ancor più che la morte in sé, che  lo rende  del tutto simile agli uomini.  I discepoli sono scappati: erano i  attesa di Messia vincente ed ora sono confusi, non capiscono. Lo riconosceranno poi, dallo spezzare del Pane, lungo la strada per Emmaus, oppure mettendo le dita nelle sue piaghe…avremmo fatto anche noi così, perché anche noi siamo sempre in attesa di un Capo vincente.

Enrico Cerri,  commentando da critico d’arte appassionato e competente  opere d’arte famosissime che vanno dal Crocefisso di Mastro Guglielmo, un Cristo che pur essendo in croce appare trionfante, quasi ad annunciare la sua imminente Resurrezione (Christus triumphans). Il  dipinto risale al XII secolo ed è esposto nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Sarzana.  E poi il Crocefisso di Cimabue esposto in Santa Croce a Firenze ( ancora bellissimo nonostante i danni subiti a causa dell’alluvione ) in cui il Cristo ha smesso la postura “triumphans”, per assumere quella dolente, già presente da tempo nella pittura d’oltralpe . Ci  parla di Giotto e del “compianto” della Cappella degli Scrovegni in Padova, ove al dolore dei volti si accompagna la pietà dei gesti, con tre donne che sorreggono il capo le mani e piedi di Gesu, mentre Maria lo cinge a sé , e quasi posa le sue guance su quelle di Gesù .. e un velo blu li cinge quasi a sottolineare l’abbraccio. E ciparla dei Crocefissi di Donatello e Brunelleschi e delle differenze stilistiche che sottolinea con un aneddoto. Ci parla della Pietà di Michelangelo giovane , così  perfetta,così composta, così dolce da aver conquistato il mondo e la raffronta all’altra pietà, anchessa di Michelangelo, la Pietà Rondanini, così diversa, incompiuta, eppure così espressiva, così moderna. E poi il Cristo morto del Carracci, il Cristo deposto nel sepolcro, collezione Luigi Koelliker, opera del Morazzone, e ancora tante opere.


Valerio Crugnola  parte da lontano, dal nord Europa ove la  bellezza delle opere è assoluta almeno tanto quanto la sofferenza che vi è rappresentata. Ci mostra subito la Crocifissione Grunewald, il  Polittico di Isernheim, Colmar. Ce ne mostra i particolari , sottolinea la smorfia dolorosa del volto e della bocca, le mani, i piedi lividi e scorticati, e sul capo una foresta di spine. Il corpo di Gesù è imponente domina dall’alto su piccole disperate figure umane. E sui tratti cadaverici del Cristo morto insiste, Valerio, mostrando il dipinto del Mantegna e quello di Hans Holbein. Il Cristo nella bara di Hans Holbein il giovane, nonostante un guizzo di luce nell’unico occhio visibile, è un’opera d’arte inquietante, del tutto simile nel colore dell'incarnato,livido al punto da apparire prossimo alla putrefazione . In proposito, Valerio ci ricorda che Dostoevskij,  nell’”Idiota “ , fa dire ad uno dei personaggi che “più di uno guardando questo quadro può perdere la fede”. Nella chiesa decanale di Azzate si conserva una copia originale  di questo dipinto, che in piena coerenza con l’iconografia nordica ( a differenza di quella Russa e Bizantina, più vicina a Dostoevskij) è di un realismo estremo che inquieta e certamente fa ritrarre .  A proposito del “ritrarsi” Valerio si addentra poi nei concetti di “oscenità “ della morte ,oscenità nel senso di “fuori scena”, non rappresentabile e da non rappresentare … fino alla “pornografia”, non certo in senso letterale, ma per la morbosità con cui a volte ci tratteniamo ad osservare corpi particolarmente devastati.  Si guarda per voyerismo ( e questo fa si che Valerio parli di pornografia)  e questo non  annulla il fatto che la morte, il cadavere è uscito dalla nostra scena quotidiana . Moriamo in  solitudine,  e questo è vero in particolare per la nostra generazione di sessantenni. La  morte  infatti ci coglie sempre più spesso “fuori casa” ( magari in un “hospice”) ,affidati alle mani di esperti e professionisti , senza più la vicinanza e le pietose cure dei familiari .  Insomma tendiamo ad allontanare  sempre più da noi quella morte  che pure il cristianesimo ( più d’ogni altra religione) ci aveva aiutato ad “addomesticare “ , inteso nel senso più strettamente etimologico del termine, ossia   di portare “ad domum “, ricondurre ad una dimensione familiare.
Ma sarebbe per noi  presuntuoso, oltre che riduttivo pensare di poter sintetizzare qui la ricchezza di quelle riflessioni così  “dense di contenuti”, e non lo faremo . Possiamo  però anticipare  che,  grazie al lavoro di alcuni volontari, a Morazzone, e dei tecnici di Radio Missione Francescana, per la serata di Varese, i tre interventi verranno presto pubblicati.

La serata si è chiusa con un “quarto tempo” dedicato allameditazione individuale e  silenziosa, ( clicca per andare a video ) alimentata  dalle immagini suggestive di oltre 300 opere d’arte prodotte dal XII al XX secolo, aventi come tema  la morte , la deposizione, il compianto e la sepoltura  del  Cristo.
La colonna sonora è il “Miserere mei Deus”  di Gregorio Allegri (Roma, 1582 circa – Roma, 17 febbraio 1652), composto per l’inaugurazione della Cappella Sistina in Vaticano.
Quando si sono riaccese le luci è scattato un ultimo applauso caldissimo e , dal pubblico è esplicitamente venuta   la richiesta di altri incontri con le stesse modalità.
 Da tutti i presenti, dai soci Acli e da chi scrive:  un sincero grazie a P. Gianni Terruzzi, ad Enrico Cerri e Valerio Crugnola  e a tutti tantissimi auguri di Buona Pasqua, con Cristo Risorto !



 P. Gianni Terruzzi e i proff. V. Crugnola ed E. Cerri .
       






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