Carlo Maria Martini è morto oggi pomeriggio: è stato il Vescovo del dialogo.
Il Card. Carlo Maria Martini |
Lo ricordano così, quasi senza eccezione, tutti i media e così voglio ricordarlo anch'io:
Vescovo del Dialogo.
Prima di tutto perché lo è stato per davvero, senza retorica e in modo
eccezionale, col cuore e con l’intelligenza, verso cristiani e non,
credenti o atei che fossero. E fanno bene, perché il dialogo e la materia prima, anzi
l’armatura stessa che sorregge i ponti,
e Dio solo sa di quanti ponti oggi la
nostra umanità fragile ha bisogno. Di quanti ponti abbiamo bisogno noi occidentali per superare le fratture, spesso profonde ed ampie, che
la crisi economica sta creando tra i popoli e, nelle singole
nazioni, tra i diversi strati sociali. Di quanti ponti hanno bisogno i popoli in guerra, mentre noi forniamo loro armi, di quanti ponti hanno bisogno i poveri, mentre noi creiamo steccati, ergiamo barriere, inventiamo i respingimenti, esasperando le fratture. Fratture
cresciute anche per la crisi economica che ci attanaglia, ma nate soprattutto dall’egoismo che è il vero grande ostacolo al
dialogo.
Il dialogo è un reciproco scambio di doni, di emozioni, di
ragioni, di pensieri, di sogni,
soprattutto quei “sogni grandi “– scriveva il card. Martini- “che
rappresentano la nostra percezione del progetto di Dio ancora più grande “ .
Dialogo è parlarsi, è il Verbo
stesso, è quindi Amore, Caritas.
Pensavo queste cose mentre navigando tra i ricordi, gli
stimoli della rete, l’archivio del sito www.chiesadimilano.it
, la nostalgia mi hanno portato a cercare tra i discorsi che il Card. Martini (
come è tradizione per i vescovi di Milano ) ha indirizzato ogni anno alla città e alla diocesi in
occasione alla vigilia della festività
di S. Ambrogio. Ne ho selezionato uno, quello del 6 dicembre 1996 e ve lo
ripropongo integralmente. Nel rileggerlo mi ha colpito la straordinaria
affinità tra quello che il Card. Martini
scriveva allora e ciò di cui abbiamo bisogno ora. Sentite questo passaggio e vi
verrà voglia di leggere tutto : “Vorrei
che le riflessioni ci aiutassero a non lasciarci imprigionare dalle pesantezze
del presente e a diventare più capaci di guardare al futuro dell'uomo e al
futuro di Dio. Non a caso ho intitolato il mio discorso:
Alla fine del millennio, lasciateci sognare! “
ALLA FINE DEL MILLENNIO, LASCIATECI SOGNARE!Discorso per la festa di S. Ambrogio |
Milano, 6 dicembre 1996
Sant'Ambrogio,
nel suo scritto su Giuseppe, parlando delle reazioni di Giacobbe al secondo
sogno del figlio, si esprime cosi: "Il patriarca si guardò bene, dunque,
dal non prestar fede a un sogno tanto grande (non ergo tanto somnio
patriarcha non credidit), perché egli profetizzava con una duplice
predizione due realtà: rendeva cioè presente la persona del giusto (Gesù che
doveva venire) e insieme la persona del popolo (a cui il giusto avrebbe offerto
la salvezza)" (ivi 3,9, in Opera omnia 3, 1982, p 349)
Anche a noi
mi pare venga detto, alla fine del millennio, di non escludere del tutto dalla
nostra interpretazione del tempo in cui viviamo quei "sogni grandi"
che rappresentano la nostra percezione del progetto di Dio ancora più grande,
proclamato nella lettura del primo capitolo della lettera agli Efesini, che
riguarda Gesù e il suo popolo. In Lui siamo stati scelti, in Lui abbiamo la
redenzione, per mezzo di Lui Dio conduce la storia al suo compimento, riunendo
tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra sotto un unico capo (cf Ef
1,4. 7.10)
A questo
"sognare in grande", a questo saper guardare con mente aperta al
futuro di Dio e dell'uomo ci esorta oggi la figura di sant'Ambrogio che è stato
un grande interprete dei disegni di Dio per il suo tempo. Desidero qui
esprimere tutta la mia gratitudine a Sua Grazia l'Arcivescovo Carey non solo
perché, in spirito di comunione ecumenica, ha voluto unirsi a noi per iniziare
le celebrazioni del decimosesto centenario della morte di Ambrogio, ma pure per
le parole con cui or ora ha evocato il senso e la portata del messaggio di
Ambrogio per la sua epoca e per una leadership cristiana nel quadro delle
società secolari di oggi.A Lei, Arcivescovo di Canterbury, esprimo la comunione e 1'affetto della Chiesa di Milano ricambiando gli auguri per una celebrazione fruttuosa del decimoquarto anniversario della venuta di sant'Agostino in Inghilterra e dell'opera di san Colombano. Attraverso queste grandi figure le nostre Chiese rileggono il loro passato di grazia e trovano forza per andare incontro a quella piena comunione che il prossimo millennio è destinato a restaurare.
Voglio anche attestare la gratitudine mia e della Chiesa ambrosiana al Papa Giovanni Paolo II per aver voluto scriverci, in occasione del centenario, la Lettera Apostolica Operam diem, ricordando che Ambrogio fuit... estque adhuc universae Ecclesiae, "fu...ed è tuttora un dono per la Chiesa intera" (n. 1) e che "si staglia sullo sfondo delle tormentate vicende del suo tempo come figura di straordinario rilievo, il cui influsso, valicati i secoli, permane vivo ancora oggi" (n. 2).
Con tale fiducia espressa dal Papa nell'impulso che Ambrogio può dare alla società attuale e nell'impegno a ricercare un orientamento per il nostro tempo (impegno che condivido con il mio fratello Arcivescovo di Canterbury e con i responsabili delle chiese cristiane), desidero dedicare qualche riflessione al sogno e al progetto di Ambrogio per la sua Chiesa e la sua città. Vorrei che le riflessioni ci aiutassero a non lasciarci imprigionare dalle pesantezze del presente e a diventare più capaci di guardare al futuro dell'uomo e al futuro di Dio. Non a caso ho intitolato il mio discorso: Alla fine del millennio, lasciateci sognare!
1. IL
SOGNO Dl AMBROGIO PER IL SUO TEMPO
Quando, nel
374, Ambrogio fu eletto Vescovo di Milano, capitale dell'Impero, lo stato
romano presentava chiari segni di decadenza. L'Impero era ormai senz'anima e
pochi credevano ancora negli ideali che avevano animato l'ascesa di Roma. La
stessa Chiesa si presentava divisa, travagliata da una crisi, quella ariana,
che sembrava non dovesse più finire. E Ambrogio, pur concependo Chiesa e Stato
come due realtà distinte, sapeva -quale parte irrinunciabile del suo ministero
episcopale- di dover essere coscienza e voce critica della storia in cui la
Chiesa cammina.
Come scrive
il Papa nella sua Lettera, egli sentiva che "nella società romana in
disfacimento, non più sorretta dalle antiche tradizioni, era... necessario
ricostruire un tessuto morale e sociale che colmasse il pericoloso vuoto di
valori che si era venuto creando. Il Vescovo di Milano volle dar risposta a
queste gravi esigenze, non operando soltanto all'interno della comunità
ecclesiale, ma allargando lo sguardo anche ai problemi posti dal risanamento
globale della società. Consapevole della forza rinnovatrice del Vangelo, vi attinse
concreti e forti ideali di vita e li propose ai suoi fedeli, perché ne
nutrissero la propria esistenza e facessero cosi emergere, a servizio di tutti,
autentici valori umani e sociali" (n. 7)
Possiamo
dunque affermare che Ambrogio si trovava di fronte a una svolta epocale, non
tanto dal punto di vista cronologico, bensì da quello del giudizio sui valori.
(Del resto neppure per noi la data del duemila va concepita in sé come svolta
storica: il suo senso va letto non nella magia dei numeri, ma nell'interpretazione
che riusciamo a dare del nostro tempo, come Ambrogio è riuscito a darla del
suo). Si trattava allora di decidere se la salvezza della società consisteva
nel ritorno ai valori tradizionali del paganesimo, a cui tendevano non pochi
spiriti nobili dell'epoca, o nell'inserzione delle forti virtù cristiane in
quanto rimaneva di sano del tronco della romanità.
Ambrogio
aveva le carte in regola per quanto riguarda l'appartenenza al tronco sano
della tradizione classica. Aveva però occhi penetranti per vedere che, senza un
innesto coraggioso, gli antichi valori si sarebbero disciolti nel clima di
indifferenza, di consumismo e di conflittualità che da decenni affiggeva le
classi dominanti della società romana.
L'occhio affinato dalla fede gli
permetteva di capire che tale innesto sarebbe avvenuto solo se la parte
cristiana della società fosse stata in grado di esprimere con energia, in tutti
gli ambiti della vita familiare, sociale e civile quei modi di pensare e di
agire che mostravano la novità e la forza delle beatitudini evangeliche e la
potenza paradossale della croce.
Il suo
progetto si basava sulla fiducia che l'immissione della forza delle beatitudini
potesse ridare vigore e nerbo a quegli atteggiamenti nobili della romanità che
stavano scomparendo nella mollezza e nello scetticismo. Egli ha avuto il dono
di intuire che pure per una grande metropoli esisteva la possibilità di un
incontro tra la saggezza e la probità romana e la saggezza della croce. Il suo
è stato un atto di coraggio civile e insieme teologico. Rifiutando di
considerare la saggezza della croce come aliena dai processi della storia,
capace solo di suscitare gli eroismi dei martiri o le prodezze ascetiche dei
monaci del deserto, Ambrogio ha creduto che, facendo lievitare una comunità
cristiana con i fermenti evangelici, essa avrebbe fermentato anche la cultura e
la società.
Questo è il
sogno di Ambrogio, il progetto di Chiesa che traspare dai suoi gesti e dai suoi
scritti. Sarebbe bello poterlo mostrare, se ne avessimo il tempo, affidandoci
in particolare alla sua corrispondenza con i Vescovi contemporanei, dove
esprime chiaramente ciò che era nel suo cuore di Vescovo. Occorrerebbe partire
dalla lettera di Basilio di Cesarea ad Ambrogio dell'anno 375, poco dopo
1'elezione episcopale a Milano. Basilio gli traccia un programma di episcopato
alla cui luce è possibile interpretare gli atti seguenti del nostro grande
Patrono.
"Dio
sceglie in ogni generazione coloro che gli sono graditi... Ora ha tratto alla
cura del gregge di Cristo un uomo della città imperiale cui era stato affidato
il governo di tutto il popolo, una persona di animo elevato, ammirata da tutti
gli uomini per la nobiltà della stirpe, per lo splendore dei beni e per il
vigore dell'eloquenza... Fatti animo, dunque, uomo di Dio, perché non da parte
di uomini hai ricevuto o imparato il Vangelo di Cristo, ma il Signore stesso ti
ha preso fra i giudici della terra per collocarti sulla cattedra degli
apostoli; combatti la buona battaglia, risana le malattie del popolo... riprendi
le antiche orme dei Padri" ( Lettera 197 di Basilio di Cesarea, in Opera
omnia 24/1, 1990, p. 51s).
Dovremmo poi commentare la lettera di Ambrogio a Vigilio, da poco chiamato alla cattedra episcopale di Trento 1, la lettera al Vescovo Costanzo2 e quella al Vescovo Marcello3 . In esse comunicava la sua esperienza e quindi quanto deve stare anzitutto a cuore a un responsabile di una chiesa locale.
Possiamo in
sintesi affermare che il suo progetto si ispira in primo luogo alla
contemplazione di Cristo Signore -Colui che è tutto per noi- ; da questa
contemplazione ha tratto il sogno di una Chiesa libera, aperta, accogliente,
dinamica, presente nella storia, forte nella tribolazione, vicina ai dolori
della gente, promotrice della giustizia, attenta ai poveri e agli stranieri,
non preoccupata della sua minoranza numerica, ma fiduciosa nell'efficacia delle
beatitudini per il risanamento sociale e politico del proprio tempo.
E' la Chiesa che Agostino ha incontrato a Milano e che lo ha convinto della bellezza e della praticabilità del cristianesimo. Ricorda il Papa nella sua lettera che Agostino "ben presto sperimentò la concretezza e il fascino della vita della chiesa di Milano: 'Vedevo la Chiesa piena, e in essa l'uno avanzare in un modo, l'altro in un altro' ricorderà con ammirazione molti anni dopo" (n. 9). "Da questa pienezza ? commenta il cardinale Biffi ? egli è stato a poco a poco persuaso; a contatto con questa 'pienezza' egli ha sentito a poco a poco svanire ogni difficoltà e sgrovigliarsi ogni complicazione interiore" (G. Biffi, (Conversione di Agostino e vita di una Chiesa, 1987, citato da C. Pasini, Ambrogio di Milano: azione e pensiero di un vescovo, 1996, p. 138).
II. PER UN
PROGETTO DI CHIESA DEL NOSTRO TEMPO
Nel discorso
in morte del fratello Satiro, Ambrogio confessa che con il fratello condivideva
le preoccupazioni, i progetti, le ansie per la comunità cristiana che si stava
edificando nella città di Milano: "Tu approvavi le mie decisioni,
condividevi le mie inquietudini, allontanavi le mie angustie, cacciavi da me la
tristezza; tu eri il sostegno delle mie azioni, il difensore dei miei pensieri;
tu infine eri il solo in cui le preoccupazioni domestiche avessero posa e
trovassero sollievo le responsabilità pubbliche" (ivi I, 20, in Opera omnia
18, 1985, p. 39).
Ambrogio
descrive quindi la sua giornata piena di decisioni, inquietudini, angustie,
tristezza, azioni, pensieri, preoccupazioni e responsabilità. E' la tipica
giornata di un Vescovo e anche di ogni responsabile civile e politico.
L'esperienza delle Autorità qui presenti potrebbe confermarlo. Perciò occorre
il sostegno, in ogni impegno pubblico, di un sogno, un ideale, un progetto,
un'utopia su cui misurare il presente e graduare gli interventi possibili senza
lasciarsi soffocare dalle piccole urgenze quotidiane o fuorviare dai clamori o
dalle blandizie dei petulanti di turno.
Occorre
anzitutto un progetto per le Chiese in Europa. Recentemente, alla fine del IX
Simposio dei Vescovi Europei (23-27 ottobre 1996), è stato chiesto al
Presidente cardinale Miroslav Vlk, Arcivescovo di Praga quale immagine di
Chiesa europea prevedesse nei prossimi decenni: la sua risposta delineava una
Chiesa minoritaria, autorevole, con forte identità.
Nel corso del
Simposio sono state sottolineate ulteriori qualifiche: una Chiesa sinodale
all'interno, ecumenica con le altre confessioni e religioni, dialogica rispetto
alla società civile e istituzionale (Cfr. Europa della fede e della Democrazia
in Il Regno, 15 novembre 1996, n. 20, p.577). Sono elementi indubbiamente
significativi.
La stessa
Chiesa italiana si sta misurando con l'idea di progetto. Lo ha fatto in
particolare nell'ultima Assemblea Generale di Collevalenza (11-14 novembre
1996), dove è emersa la necessità che "la missione della Chiesa di
annunciare il Vangelo di Gesù Cristo, nel duplice senso di evangelizzazione
della cultura e di inculturazione del Vangelo, si sviluppi attraverso un'azione
consapevole e mirata che, oltre alla fondamentale e irrinunciabile via della
prassi e della testimonianza, preveda ? anche se in forme e gradi diversificati
? il momento indispensabile della riflessione, del discernimento, della
progettazione, della verifica" (Dalla Sintesi dei lavori di gruppo a cura
di S.E. Mons. Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Genova).
Tale idea di
progetto può essere feconda se misurata primariamente con l'unico vero progetto
sul mondo che è il progetto di Dio, esposto nella prima pagina della lettera
agli Efesini, che abbiamo ascoltato. Esso non si esplica compiutamente in
questo mondo, ma guarda all'eternità di Dio e alla pienezza della
manifestazione del Signore alla fine dei tempi. Tale progetto inoltre va
verificato sul "discorso della croce" di cui parla san Paolo nella
prima lettera ai Corinzi (I Cor I, 18?25). Il "discorso della croce" esprime
infatti la metodologia di ogni agire cristiano ed è fondato sul
"valore" di ciò che sembra non avere valore né efficienza: la
sconfitta, la perdita, l'ingiustizia subita. In positivo il "discorso
della croce" è espresso dalle beatitudini evangeliche (Mt 5, 3?12) e da
quelle quindici caratteristiche della carità con cui san Paolo definisce
l'agire cristiano come "paziente, benigno, non invidioso, non vanitoso,
ecc." (1 Cor 13, 4?6). Un agire che non bada all'efficienza del fare,
bensì alla qualità delle relazioni, ispirate dall'esempio di Gesù. Solo un
progetto cosi merita il nome di progetto cristiano e può essere confrontato con
il coraggioso progetto di Ambrogio.
La Chiesa
italiana si era posta più volte dopo il Concilio, in particolare a partire dal
Convegno del 1976 su Evagelizzazione e promozione umana, la domanda sulle sue
responsabilità per una società in preda a fenomeni di rapida mutazione e di
innegabile degrado. Un momento particolarmente felice di sintesi tra
preoccupazione per la purezza del vangelo e per le sorti della nazione aveva
trovato espressione nel documento del 23 ottobre 1981 dal titolo La Chiesa
italiana e le prospettive del paese, scritto "con una coerente ispirazione
evangelica. Dal Vangelo, infatti, e da una tensione permanente verso il Signore
Gesù Cristo, i cristiani traggono il lume e il sostegno essenziale per le loro
attività nel paese e per interpretarne la realtà" (ivi, n. I ).
Non è mio
compito dilungarmi su un tema che ha trovato nell'ultima Assemblea dei Vescovi
italiani un significativo approfondimento. Mi sembra in ogni caso di cogliere
nella Chiesa italiana, nel quadro del decennio degli anni novanta su
"Evangelizzazione e testimonianza della carità", una più viva
coscienza di come, accanto alla carità spirituale offerta dal pane del Vangelo
e a quella materiale offerta dall'aiuto per il pane, il tetto e il lavoro, v'è
oggi un particolare bisogno della carità "culturale"; intendo dire di
una attenzione amorevole ai fatti di cultura, ossia ai valori' significati, linguaggi,
modi espressivi della nostra società e al loro collegamento con la trasmissione
del messaggio cristiano. Perciò la Chiesa italiana ha deciso di dedicare
maggiore tempo ed energia a quei nodi del pensiero e dell'azione in cui il
Vangelo tocca o è toccato dagli atteggiamenti, dai modi di pensare e dalle
correnti culturali contemporanee, promuovendo un processo dinamico e corale di
studio, di riflessione, di dialogo e di azione in vista della evangelizzazione
delle culture e dell'inculturazione o transculturazione del vangelo; in altre
parole, la Chiesa ha deciso di scommettere, come un tempo Ambrogio, sulla
possibilità che il Vangelo vissuto e pensato sia germe e fermento di cultura.
Per questo la
Chiesa in Italia - ciò accade in tutti i luoghi dove è proclamato il Vangelo -
avverte il compito di offrire percorsi culturali che formino persone non solo
sensibili alla trascendenza e in ascolto della Parola, ma insieme capaci di
riflessione critica e aperte al dialogo culturale.
Si colloca in
tale contesto il compito delle comunità cristiane di proporre e garantire dei
percorsi scolastici (dalla scuola materna alla formazione professionale)
connotati da una precisa identità educativa che, senza legittimare nessuna
chiusura confessionale e nessun isolamento culturale, deve per tutti essere una
proposta di dialogo e di confronto per un reale arricchimento dell'intero
sistema pubblico scolastico caratterizzato dall'autonomia, dall'integrazione
delle diverse iniziative educative e dall'effettiva parità giuridica ed
economica tra tutte le scuole che offrono un pubblico servizio (statali e non
statali).
La Chiesa
intende fare questo per il bene dell'intera cittadinanza la quale ha interesse,
per un futuro armonico e integrato, ad ascoltare e sostenere ogni vera proposta
educativa. Dal coinvolgimento autorevole di più posizioni, il bene comune
guadagna infatti una concretezza di profilo formativo, in una dialettica
costruttiva tra le legittime differenze.
La nostra società non ha alternative alla tensione verso l'integrazione organica di tutti i soggetti educativi, a meno di ridursi a una contiguità di universi incomunicabili. I cristiani su tale convinzione hanno costruito da sempre la consapevolezza del dover essere presenti con la loro precisa identità nella città dell'uomo, quale forza critica e profetica.
III. IL SOGNO Dl UNA CHIESA FERMENTO DELLA SOClETA'
La società
attuale europea ed occidentale si costruisce, meglio si esprime - talora in
maniera costruttiva, talora in maniera distruttiva- non seguendo una visione
organica, ispirandosi a un vero e proprio progetto, ma dando valore ad alcune
intuizioni di fondo connesse con l'idea della libertà dell'individuo, il cui
solo limite sarebbe il rispetto delle libertà altrui. Diceva Sua Ecc.za Mons.
Lehmann, Arcivescovo di Magonza, nell'ultimo Simposio dei Vescovi europei, che
la storia della modernità (illuminismo e liberalismo) ci consegna una società
in cui il pubblico garantisce le libertà e il privato sceglie le opzioni
(compresa quella religiosa). Si opera tuttavia la rimozione della questione
della verità e ne deriva un pluralismo che minaccia continuamente di infrangere
i confini dell'autodistruzione (cfr sintesi a cura di L. Prezzi in Il Regno I 5
novembre 1996, n. 20, p.578).
Non saranno
tuttavia le analisi pessimistiche a migliorare il mondo e nemmeno basterà un
accorato richiamo ai valori o alla legalità per far andare meglio le cose.
Dobbiamo piuttosto, dal momento che i nostri difetti li conosciamo bene,
acquisire una visuale positiva, un sogno di futuro, che ci permetta di
affrontare con energia e coraggio il passaggio di millennio.
Mi viene in
mente quel sogno di Chiesa capace di essere fermento di una società che
espressi il 10 febbraio l98l, a un anno dal mio ingresso in Diocesi, e che
continua ad ispirarmi:
- una Chiesa pienamente sottomessa alla Parola di Dio,
nutrita e liberata da questa Parola
- una Chiesa
che mette l'Eucaristia al centro della sua vita, che contempla il suo Signore,
che compie tutto quanto fa "in memoria di Lui" e modellandosi sulla
Sua capacità di dono;- una Chiesa che non tema di utilizzare strutture e mezzi umani, ma che se ne serve e non ne diviene serva;
- una Chiesa che desidera parlare al mondo di oggi, alla cultura, alle diverse civiltà, con la parola semplice del Vangelo;
- una Chiesa che parla più con i fatti che con le parole; che non dice se non parole che partano dai fatti e si appoggino ai fatti;
- una Chiesa attenta ai segni della presenza dello Spirito nei nostri tempi, ovunque si manifestino;
- una Chiesa consapevole del cammino arduo e difficile di molta gente oggi, delle sofferenze quasi insopportabili di tanta parte dell'umanità, sinceramente partecipe delle pene di tutti e desiderosa di consolare;
- una Chiesa che porta la parola liberatrice e incoraggiante dell'Evangelo a coloro che sono gravati da pesanti fardelli;
- una Chiesa capace di scoprire i nuovi poveri e non troppo preoccupata di sbagliare nello sforzo di aiutarli in maniera creativa;
- una Chiesa che non privilegia nessuna categoria, né antica né nuova, che accoglie ugualmente giovani e anziani, che educa e forma tutti i suoi figli alla fede e alla carità e desidera valorizzare tutti i servizi e ministeri nella unità della comunione;
- una Chiesa umile di cuore, unita e compatta nella sua disciplina, in cui Dio solo ha il primato;
- una Chiesa che opera un paziente discernimento, valutando con oggettività e realismo il suo rapporto con il mondo, con la società di oggi; che spinge alla partecipazione attiva e alla presenza responsabile, con rispetto e deferenza verso le istituzioni, ma che ricorda bene la parola di Pietro: "E' meglio obbedire a Dio che agli uomini" (At 4,19).
E' il sogno
che ho delineato nella lettera pastorale Ripartiamo da Dio e in Parlo al tuo
cuore dove ho offerto una Regola di vita del cristiano ambrosiano.
Dal sogno di
una Chiesa così e della sua capacità di servire la società con tutti i suoi
problemi nasce l'invito a lasciarci ancora sognare Lasciateci sognare! Lasciateci guardare oltre alle fatiche di ogni giorno! Lasciateci prendere ispirazione da grandi ideali! Lasciateci contemplare con scioltezza le figure che, come Ambrogio, hanno segnato un passaggio di epoca non con imprese militari o con riforme imposte dall'alto, bensì valorizzando la vita quotidiana della gente, insegnando che la forza e il regno di Dio sono già in mezzo a noi e che basta aprire gli occhi e il cuore per vedere la salvezza di Dio all'opera.
La forza di
Dio è in mezzo a noi nella capacità di accogliere l'esistenza come dono, di
sperimentare la verità delle beatitudini evangeliche, di leggere nelle stesse
avversità un disegno di amore, di sentire che il discorso della croce rovescia
le opinioni correnti, vince le paure ancestrali e permette di accedere a una
nuova comprensione della vita e della morte.
Il nostro
sogno non sarà allora evasione irresponsabile né fuga dalle fatiche quotidiane,
ma apertura di orizzonti, luogo di nuova creatività, fonte di accoglienza e di
dialogo. Di ciò anche la città di Milano ha grande bisogno per essere degna di
quella eredità di civiltà e di fede di cui celebriamo, a partire da oggi, il
decimosesto centenario.
NOTE:
1.Virgilio aveva chiesto ad Ambrogio
dei "criteri per il suo insegnamento", essendo stato da poco chiamato
all'episcopato. Risponde Ambrogio (Lettera 62 probabilmente del 385, cfr. Opera omnia 20, 1988, p. 147ss):
"Siccome hai edificato te stesso, com'era giusto, visto che sei stato
ritenuto degno di cosi sublime ministero, sembra che ti debbano essere indicati
i modi per edificare anche gli altri" (n. 1). Gli dà poi tre indicazioni
su argomenti che a prima vista sembrano riguardare questioni di carattere
pratico. Gli chiede di vigilare perché non siano defraudati i lavoratori e di
adoperarsi perché sia abolito il prestito a interesse (cfr. n. 3). Lo invita a insegnare un'accoglienza amorevole verso
gli ospiti ("non ricchi doni, ma cortesie spontanee, piene di pace e di
opportuna simpatia, sentimenti di bontà", n. 6). Lo impegna infine ad
opporsi al pericolo costituito dai matrimoni contratti dai cristiani con i
pagani (cfr n. 7). E a
proposito di quest'ultimo argomento si sofferma a lungo sulla vicenda di
Sansone (nove pagine su undici!). Al di là delle peculiarità dello stile
epistolare del tempo, leggiamo in questa lettera che Ambrogio, nel suo
ministero di vescovo, si è preoccupato del risanamento della società del suo
tempo per immettere nell'antica tradizione romana il lievito dell'insegnamento
evangelico. In tal modo sapeva di gettare nuove basi per la ricostruzione del
tessuto sociale in disfacimento". Il progetto di Chiesa di Ambrogio
comprende perciò elementi di un organico piano di restaurazione morale e
sociale. A Vigilio Ambrogio trasmette la sua esperienza di pastore nella
concretezza della sua incidenza sul vissuto della gente e anche nella radice
imprescindibile della Parola personalmente ruminata e distribuita ai fedeli.
"Hai assunto l'ufficio episcopale e, sedendo sulla poppa della Chiesa, guidi la nave contro i flutti. Tieni saldo il timone della fede, perché le pericolose procelle di questo mondo non possano turbarti. Il mare senza dubbio è grande ed esteso, ma non temere, perché 'Egli l'ha fondata sui mari e l'ha stabilita sui fiumi'. Perciò, non senza ragione, la Chiesa del Signore, per così dire costruita sulla pietra dell'apostolo, rimane immobile tra i tanti marosi del mondo e sul suo fondamento inconcusso resiste senza tregua alla violenza del mare che infuria... Il mare è la Scrittura divina... Raccogli l'acqua di Cristo, quella che loda il Signore...l tuoi discorsi siano come acqua che scorre copiosamente, siano puri e limpidi... pieni di discernimento..." (n. 1).
I suggerimenti di Ambrogio vengono ancora una volta dalla sua esperienza, dal suo modo di fare Chiesa.
Il Card. Martini - Vescovo del Dialogo - mano nella mano con l'Imam Bashir-al-Bani, nel 1999, visita la moschea Omayyade di Damasco |
Ciao Giovanni,
RispondiEliminami associo volentieri al tuo invito alla riflessione in occasione di questa grave perdita.
Ho velocemene letto le note contenute nel tuo blog, per i discorsi e gli scritti allegati sono costretto a rimandare ad altro momento.
Anch'io stimavo profondamente questo uomo, mi affascinava la sua realesterminata cultura, ma, ancora di piu', la sua continua e costante messain dubbio della verità cara ad ogni credente, io, come ben sai, non traquesti.
Ancora di piu', credo, mi sono sentito attratto dalle sue posizioni dicritica severa nei confronti della chiesa ufficiale, gli articoli comparsisui giornali in questi giorni ci riportano le sue dichiarazioni riguardantil'arretratezza culturale e l'incapacità ad interpretare la realtà con lainevitabili conseguenze. Emblematiche a tale riguardo le sue perplessità circa la posizione concernente il sesso, punto da lui chiaramenteindicato come di totale distacco dal mondo. A questo mi piacerebbeaggiungere le tematiche del fine vita, a proposito della quale mi pareche la scelta finale del cardinale abbia voluto significare qualche cosa,al di la' di fini distinzioni e cavilli legati ad aspetti tecnici concernentii trattamenti ammessi o da rifiutare.
Ho voluto evidenziare questi aspetti, che ben so non essere i soli ad averecaratterizzato l'operato di questo grande uomo, innanzitutto perchè deglialtri ti sei occupato già tu con la tua abituale capacità ed anche perchèè cio' che ai miei occhi appare piu' significativo, contribuendo ad umanizzare una realtà che a me appare sempre meno evangelica ma, al contrario, semprepiu' attenta a conservare il proprio potere anche condividendolo direttamente con il diavolo.
Ciao.
Massimo Berton
Condivido quanto sopra in merito al cardinale MARTINI . Per quanto ci e possibile non bisogna lasciare cadere le sue idee , la Chiesa ne ha tanto bisogno. Ciao Giuseppe
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