IN DIFESA DEI DIRITTI, DALLA PARTE DEI PIU’ DEBOLI !!!
Il "saggio" che segue mi è stato inviato da Piero Lucia, protagonista ed analista attento della vita sociale e politica della provincia di Salerno da almeno 40 anni. Piero mi onora della sua amicizia e le sue riflessioni mi sono state preziose fin dalle nostre prime frequentazioni . Questo saggio "è in buona parte incentrato sulla situazione degli immigrati a San Nicola Varco, vicino Eboli " ed è stato scritto prima dei fatti di Rosarno e di quelli stessi di San Nicola Varco. La enorme mobilitazione del "Primo marzo 2010" lo rende ancora attuale ed utile alla conoscenza del fenomeno immigrati.
Ringrazio Piero Lucia ( nella foto ) per il suo contributo a questo Blog.
Giovanni De Rosa
Un libro - inchiesta, apparso di recente, 1) ha l’indubbio merito di aver portato in emersione, con grande crudezza ed efficacia, utilizzando l’agile stile proprio del racconto, la condizione di estremo degrado e sfruttamento in cui da tempo versano alcune centinaia di lavoratori provenienti dal Maghreb, che, nella quasi totale indifferenza delle istituzioni e delle forze politiche locali e regionali, si consuma nel cuore della Piana del Sele, a San Nicola Varco, nei pressi di Eboli, in Provincia di Salerno.
Sono 700 i giovani, in prevalenza marocchini, di cui si ha notizia, accampati in condizioni di fortuna, in autentici tuguri spesso privi di servizi igienici, acqua, gas e illuminazione. Vivono una condizione di segregazione e marginalità assoluta, in un ghetto, e sono impiegati in agricoltura, come stagionali, nella raccolta dei prodotti della terra, quasi tutti lavorano al nero.
Sono persone senza alcuna tutela contrattuale, normativa e salariale, sottoposte ai soprusi e alle angherie dei caporali, spesso periodicamente impiegate anche in altre aree dell’Italia meridionale, emigrate dai loro paesi d’origine ancora oggi condannati all’endemica miseria.
Essi, lasciate alle loro spalle condizioni di estrema povertà e di conflitti acuti, di frequente sanguinosi, si sono messi alla disperata ricerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie.
Una situazione estrema e sintomatica, fotografata anche grazie ad alcune specifiche interviste dei diretti interessati, su cui troppo forte è stata ed è la propensione a stendere un velo di assoluto e colpevole silenzio.
Una condizione, d’incertezza e di degrado, che induce ad alcune considerazioni integrative, più ampie e generali e che impone, in ogni caso, l’obbligo di un’azione impegnativa collettiva e determinata di contrasto, istituzionale e sociale, a scelte economiche ed impostazioni culturali nuove non oltre nel tempo diluibili.
La prima elementare riflessione, che immediatamente si impone, è che appare sempre più perdente, illusoria e vana l’idea di guardare il mondo attuale, col suo groviglio di contraddizioni in apparenza irrisolvibili, in prevalenza ma non solo incentrate nelle aree più marginali del mondo, chiusi ed arroccati nelle anguste fortezze e casematte delle singole realtà locali, puntando magari a costruire intorno ad esse improbabili muri e inaccessibili recinti.
Ogni questione locale, infatti, non è più strutturalmente risolvibile, se mai lo è stata, nell’ambito esclusivo delle mura domestiche, non si tiene per proprio conto e da sola ed obbliga ad azioni ed a politiche coordinate, di ben più ampio spettro, di natura sopranazionale, tra i diversi Stati del vecchio continente e le nazioni più sviluppate, evolute e progredite del mondo.
Dimensioni, quelle locali e le altre, continentali e planetarie, sempre più interconnesse ed interdipendenti tra di loro. E, di conseguenza, una tale situazione, presente in forme simili se non eguali a macchia d’olio in più punti dell’Europa e della stessa Italia, impone a tutti i paesi più avanzati, ed in specie al nostro, da un lato l’immediato avvio di efficaci politiche dell’accoglienza dall’altro il rilancio, dopo decenni di colpevole ed assoluta inerzia, di piani concreti di aiuto ai paesi in ritardo di sviluppo e tali da consentire, con le ovvie gradualità, l’inizio di una strutturale e duratura fuoriuscita dalle condizioni di fame, di miseria, d’indigenza strutturale in cui vivono larga parte delle popolazioni del Sud ed ora anche dell’est del mondo. Aiuti economici e finanziari, concreti e mirati, a partire da quello di garantire il bene primario dell’acqua e la liquidazione delle epidemie nel continente nero, capaci di favorire finalmente l’avvio di uno sviluppo effettivamente endogeno ed autopropulsivo.
Non c’è pace e sicurezza vere se appena oltre i nostri confini, nei paesi dell’altra sponda del mediterraneo, c’è povertà, degrado, disperazione, guerra.
Oggi siamo ancora pienamente immersi nel pieno del ciclone di una gravissima recessione mondiale che, generata dalla drammatica crisi finanziaria che ha avuto origine negli USA, si è pesantemente riversata, come era prevedibile, sul resto dell’Europa e del mondo. Una crisi gravissima che sta continuando a distruggere risorse finanziarie e milioni di posti di lavoro. L’ondata recessiva è tuttora in atto ed avrà molto probabilmente una ulteriore accelerata nei prossimi mesi del 2009 e nel 2010, con margini di distribuzione di ricchezza sempre più assottigliati.
L’Italia, per limitarci soltanto al nostro paese, ha visto registrare, proprio nel 2009, un crollo del PIL del 5,5%, l’emersione di una situazione assai acuta e delicata, di una dimensione mai conosciuta negli ultimi decenni, una drastica inversione di tendenza rispetto al recente e più lontano passato di crescita graduale e progressiva, magari lenta e altalenante, ma sicura.
E purtroppo invece di frequente la rappresentazione del reale appare contraddittoria ed edulcorata, virtuale ed in stridente contrasto rispetto alla realtà, e troppo spesso non ha voce e rilievo alcuno né è ascoltata la parte del paese in più palese ed acuta sofferenza.
Aspro il contrasto tra le necessità dell’ora e il vacuo chiacchiericcio inconcludente di una politica troppo di frequente schiacciata, nelle sue quotidiane rappresentazioni, su questioni marginali, secondarie, di dettaglio.
Oggi infatti, nei tempi complessi e gravi in cui viviamo, segnati per tante persone da sempre più acute incertezze sul prossimo futuro, gran parte del dibattito politico nazionale continua ad apparire di frequente e irresponsabilmente irreale, degradato a scontri, veleni, ritorsioni, vendette trasversali che poco o nulla si conciliano con l’incalzare dei drammatici problemi del Paese e con la capacità di rimozione delle sue vere cause.
E così, con ciclica frequenza, il dibattito politico nazionale si incentra sul tema, spesso agitato in maniera strumentale, della sicurezza e sull’allarme criminalità.
Le questioni, di gran lunga prevalenti, su cui si è concentrato e ormai si concentra il confronto politico in Italia e che ha avuto i suoi echi anche nell’ultima recente campagna elettorale per le Europee.
E’ questo il terreno privilegiato su cui le forze in campo, in buona parte, da tempo si contendono l’egemonia ed il consenso.
In tale contesto il fenomeno dei lavavetri, dei graffitari, dei parcheggiatori abusivi, dei mendicanti e poi dei rom, degli zingari, dei rumeni, degli albanesi e degli slavi, dei lavoratori in nero impiegati in prevalenza nei lavori agricoli e nelle campagne della pianura padana e dell’Italia meridionale, nei settori delle costruzioni oltre che in altre svariate attività che da troppo tempo in verità gli italiani rifiutano, ha negli ultimi mesi concentrato fortemente l’attenzione della pubblica opinione.
La criminalità di sussistenza sembra in tal modo essere divenuta il vero e forse l’unico tema di cui occuparsi, l’emergenza che, se non affrontata drasticamente e con strumenti draconiani, rischia di minare la civile convivenza e la serenità, l’insieme di valori su cui si fonda il modo d’essere e la concordia della nostra comunità.
Si ha la percezione di una diffusa crescita e incontrollata condizione di ansia e insicurezza, le cui ragioni e cause più profonde risultano in verità piuttosto oscure e indefinite e non di rado sfuggono.
Pertanto difficili da tenere razionalmente sotto controllo e da governare in maniera adeguata, composta e razionale anche quando le si riesce a percepire in maniera non pregiudizialmente distorta. E in questo contesto riemergono e si moltiplicano preoccupanti pulsioni e si verificano sempre più numerosi episodi di natura autenticamente razzista.
Fatto è che, a fronte dell’aggravarsi del pericoloso stato di incertezza già in premessa richiamato, riesce complicato resistere alla tentazione di individuare, in maniera semplificata e rapida, presunti ed esclusivi colpevoli contro cui intraprendere un’azione in apparenza difensiva ma in realtà offensiva, ostile e punitiva.
Si torna così ad azioni repressive contro i mendicanti, al drastico richiamo alla stessa Europa a politiche di rigida chiusura dei confini, a misure sempre più aspre contro “l’immigrazione clandestina” e sostanzialmente si abbandona ogni determinata azione, ogni minimo progetto o idea rivolti piuttosto alla comprensione delle ragioni degli altri, all’inclusione sociale e alla solidarietà. Una strada che non si tenta affatto. Solo la voce della Chiesa sembra levarsi contro una tale deriva rovinosa.
Ai Sindaci vengono attribuiti particolari poteri repressivi. C’è, in sostanza, una convergenza a confondere e identificare, arbitrariamente, marginalità e criminalità, militarizzando la società contro le varie forme di devianza, o sbrigativamente ritenute tali, che tendono a diffondersi a macchia d’olio nel tempo della crisi economica e sociale da cui ancora non si intravede una positiva fuoriuscita.
Un trascinamento ritardato, di comportamenti e di tendenze, già da tempo apparse in paesi come gli USA, dove l’uso di una militarizzazione poderosa della società non ha prodotto la riduzione quanto piuttosto l’incremento di fenomeni di violenza e di criminalità.
In quella parte del mondo, infatti, negli ultimi anni, con l’esclusione sociale è aumentata l’insicurezza, assieme al numero di rapine, furti, aggressioni, stupri ed omicidi.
L’Europa e, in questo contesto, l’Italia in special modo, sembrano avere smarrito, in questa fase, il meglio della propria storia passata e della propria cultura e civiltà e le peculiari tradizioni di tolleranza e di accoglienza.
Sembra sfiorita e persa per sempre la specificità di una democrazia partecipata che, garantendo ai propri cittadini innanzi tutto il diritto al lavoro e all’istruzione, favorisca la crescita culturale ed il benessere economico dei suoi membri e sia indotta ad affrontare i problemi che di volta in volta si pongono predisponendo per essi, a tempo, adeguate soluzioni in grado di intervenire, contemporaneamente, su più livelli e piani. E d’altra parte è ormai ampiamente riconosciuta l’indispensabilità del contributo dei lavoratori emigrati nel garantire la continuità del lavoro in tante aziende italiane, in specie ma non solo del Nord Est, a fronte della difficoltà a reperire forza lavoro locale anche a fronte del processo da decenni in atto di progressivo invecchiamento della popolazione.
La sicurezza, da noi, è sempre stata intesa, nel passato, come sicurezza sociale, come concetto che doveva anzitutto prevedere l’affermazione di inalienabili diritti sociali e di cittadinanza ( dal lavoro, alla salute, alla casa, alla previdenza, alla sussistenza, all’istruzione) mai separabili dai diritti di libertà, incentrati su un giusto equilibrio tra diritti e doveri, da non delegare in maniera pressoché esclusiva alle questioni di ordine pubblico e repressione.
E lo Stato democratico, nel dettato costituzionale originale della nostra Nazione, non a caso deve intervenire, con specifici interventi legislativi, finanziari, economici e sociali atti a rimuovere le ragioni e gli ostacoli strutturali che sono alla base dell’impedimento della concreta realizzazione di questo insieme di diritti essenziali per la piena affermazione della personalità di ognuno e di tutti.
Lo Stato italiano condanna poi qualsiasi forma di discriminazione politica, religiosa, razziale, sessuale. Ebbene, in realtà, sembra che si stia determinando piuttosto, passo dopo passo, in difformità dal dettato costituzionale, una pericolosa e profonda mutazione dei cardini su cui è stata a lungo incentrata, dal secondo dopoguerra in poi, la nostra vita nazionale e la stessa identità della Repubblica.
Una tendenza, in sostanza, alla graduale manomissione dei capisaldi essenziali della Costituzione 2).
L’articolo 41, al terzo capoverso, a tal proposito non a caso sostiene che “ la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali ”.
Eppure un tale concetto è stato rovesciato sempre più nel suo contrario.
Non c’è infatti equilibrio, né misura, tra la salvaguardia delle condizioni di vita e di lavoro di tanti lavoratori dipendenti se ciò sembra confliggere con la libertà d’impresa e gli imperativi del mercato. Illuminante risulta al proposito la strage che annualmente si consuma sui posti di lavoro, con migliaia e migliaia di operai morti o feriti sul lavoro, in special modo in Italia, e per cui finora pressoché mai nessun datore di lavoro ha pagato.
Oltre un anno fa la stampa nazionale, già prima del libro-inchiesta su San Nicola Varco, diede un certo risalto alla incredibile vicenda dei lavoratori rumeni stagionali impegnati nelle campagne pugliesi.
Sfruttamento schiavistico, percosse e maltrattamenti continui, assenza di ogni diritto e tutela, anche la più elementare. E quella situazione, di cui già a quel tempo tutti sapevano tutto, ancora oggi non migliora ed essa in verità non è solo circoscritta a quella situazione ma continua ad interessare anche altre importanti aree geografiche dello stesso mezzogiorno compresa, come si è ricordato in premessa, la stessa Provincia di Salerno.
Eppure non si fa un decreto che affranchi il lavoratore e riconosca il diritto di soggiorno all’emigrato che denunci per maltrattamenti il datore di lavoro. Di conseguenza lo Stato italiano, più che alleato è, quasi sempre, percepito come pregiudizialmente nemico e ostile dal lavoratore immigrato.
L’ossessione della sicurezza, questione vera ma dilatata spesso strumentalmente a dismisura, e l’arroganza tendono a riempire l’assordante vuoto di analisi, di progetto, di risposte.
Le misure unilaterali adottate in nome della sicurezza personale, in conclusione, stanno producendo pericolose involuzioni, tendenze di divisione e non proprio d’inclusione, seminano il sospetto e la paura incontrollate, allontanano le persone, le spingono a vedere cospiratori e nemici dietro ogni distinzione di etnie, razze e religioni e, più che dare risposte efficaci e persuasive, distraggono sempre di più i poteri nazionali e locali dall’urgenza di riportare i grandi problemi nuovi del tempo presente nell’ambito di uno spazio pubblico la cui gestione sia più ampiamente collettiva e politica.
Si spara troppo spesso alla cieca e nel mucchio, evitando di effettuare i distinguo necessari.
I pochi spazi di partecipazione alla vita pubblica rimasti sono di conseguenza sostanzialmente vuoti e senza valore alcuno, il che facilita la politica miope e gravida di incognite delle forze che tendono all’obiettivo di ridimensionarli e di ridurli gradualmente e sempre più.
D’altra parte non sono più considerati crimini la corruzione, la frode e l’evasione fiscale, il falso in bilancio, il riciclaggio del danaro sporco, la devastazione dell’ambiente, gli attentati alla salute, l’inquinamento, la riduzione delle persone in schiavitù, lo sfruttamento della manodopera clandestina, gli infortuni sul lavoro. Si pratica, in definitiva, una politica di repressione dell’illegalità a senso unico ed a geometria variabile.
Degenerazioni e disequilibri gravissimi che chiamano in causa il perverso meccanismo che regola la nostra organizzazione economica e sociale e la sua natura non aperta ed inclusiva quanto piuttosto escludente ed antiegualitaria. E l’area della marginalità si allarga a dismisura, seppure in forme diverse e non eguali.
A tal proposito il mito della flessibilità, poi, questa la seconda osservazione che mi sento di proporre, ha dato un colpo di maglio pesantissimo ed ha anzi per più aspetti liquidato i capisaldi del diritto del lavoro conquistato in decenni di aspre e dure lotte del movimento dei lavoratori.
Il ventaglio delle contraddizioni, in sostanza, si è ampliato a dismisura in larga parte coinvolgendo e destrutturando l’attuale composizione del mondo del lavoro.
Ha anzi eroso o sta erodendo gran parte delle conquiste del mondo del lavoro e generando al suo interno una supplementare e grave condizione di disuguaglianza ed ingiustizia.
Si radica e si accentua, di conseguenza, una profonda e lacerante incertezza esistenziale.
L’uomo moderno, in questo contesto, appare sempre più spaurito, indifferente, poco appassionato e distante dalle vicende della vita pubblica, solo e portato alla chiusura negli angusti confini recintati della propria esclusiva individualità.
Una generazione di giovani lavoratori italiani impara che non ha quasi più alcun diritto e che la precarietà è diventata la condizione strutturale permanente della propria vita presente e futura. Una situazione ben più grave e peggiore delle generazioni che la hanno preceduta.
La politica conserva di converso una dimensione d’intervento essenzialmente locale mentre, più in generale, la classe politica persiste nella tendenza a cercare rimedi e spiegazioni contingenti, di mera gestione, nell’ambito prossimo al parziale e pallido terreno dell’esperienza quotidiana mentre invece la struttura di base dell’economia globale è sempre più indipendente addirittura dalla struttura politica del mondo e sempre più di frequente ne invade e ne viola i confini.
Anzi il potere, quello vero, appare sempre più distinto e separato dalla politica e dalla sua rappresentazione, quando non ad essa ed ai suoi rituali a sua volta estraneo e indifferente.
Esso, in un certo qual senso, fluisce; grazie alla sua mobilità meno vincolata, ed è sempre più globale, ovvero extraterritoriale, nel mentre tutte le istituzioni politiche esistenti eleggibili e rappresentative si ostinano a rimanere in una dimensione esclusivamente e subalternamente locale.
Il cittadino moderno, così, oggi appare solo come un consumatore, passivo e del tutto subalterno ai voleri ed alle decisioni imposte, spesso in modo artificioso, dagli indirizzi e dagli orientamenti prevalenti dei potentati economici che condizionano ed orientano il mercato.
La competitività dell’impresa sembra essere diventata l’unica cosa da salvaguardare ad ogni costo, l’esclusivo totem a cui è lecito sacrificare i propri diritti individuali e collettivi conquistati nel passato con grandi lotte ed enormi sacrifici e finanche la propria libertà.
Il padrone a sua volta diviene il solo soggetto che governa il tuo lavoro, le tue braccia, la tua intelligenza, il tuo tempo e l’organizzazione completa della tua esistenza e ne scandisce i tempi con le modalità.
Chi si oppone a tendenze e derive di tal fatta o ad esse non si adegua è nemico del “progresso” e della “modernità”. Concetti oggi sempre più irreali, aleatori, incerti. L’unilateralità del potere dell’impresa, questo il nuovo dogma della contemporaneità, non va mai più messo in discussione, così come avveniva nel secolo scorso, tanti decenni fa.
Una tale ideologia ha permeato i vari gangli delle attività umane, ed anche la pubblica amministrazione, presidio ritenuto a lungo nel passato in qualche modo più inviolabile e amico. Molti servizi iniziano ad essere nella sostanza smantellati, si pensi in specie all’istruzione ed alla sanità pubblica 3), ed altri, anche di natura sociale, vengono disinvoltamente affidati in appalto, senza controllo sul rispetto dei contratti collettivi, sulla base del massimo ribasso d’asta, con gravissime e spesso letali conseguenze sulla sicurezza del lavoro. La scuola pubblica vive, a fronte di scelte draconiane di riduzione della spesa, una condizione che sembra ormai prossima al collasso, in specie nelle Regioni meridionali, in Campania e nella Provincia di Salerno 4), mentre l’investimento su cultura e conoscenza, sulla formazione permanente e lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica costituisce, ancora più che nel passato, l’elemento decisivo per invertire la tendenza all’inarrestabile declino del Paese. E invece migliaia di posti di lavoro dal mattino alla sera si volatizzano e vengono soppressi, in specie in Regioni come la Campania ed in Province come quelle di Salerno con un tasso di disoccupazione e di precarietà già particolarmente elevato.
Non ci si pone affatto il problema di utilizzare questa forza lavoro intellettuale in funzioni nuove e innovative, in pratiche formative rivolte anzitutto in direzione delle fasce di consistente evasione scolastica, a partire dalle periferie urbane, ovvero per favorire politiche e pratiche di integrazione di cittadini extracomunitari che ormai da tempo soggiornano, in pianta stabile, nelle nostre realtà. Ne è all’ordine del giorno l’idea di ampliare gli orari attuali aprendo i plessi scolastici anche al pomeriggio.
E’ in atto un processo di distruzione autentica, di destrutturazione ed annullamento di grandi risorse intellettuali e umane di elevata qualità. Al contempo sembra essere ripresa, ed anzi accentuarsi, la prassi troppo diffusa dell’evasione fiscale, plateale esempio di ingiustizia e di diversità di condizione dei cittadini di fronte alla legge, così che le risorse, già scarse, si assottigliano sempre di più.
E i servizi ispettivi adibiti al contrasto delle illegalità troppo di frequente sono lasciati, nei diversi territori del paese, al Nord come al Sud, in uno stato di assoluto abbandono, senza l’adeguamento necessario delle piante organiche. Di conseguenza la loro funzione latita gravemente.
Lo Stato, di conseguenza, già in partenza rinuncia ad una notevole quantità di ulteriori risorse in entrata, risultando inadeguato e inerme nell’affrontare i gravi e nuovi problemi che si pongono..
Ovvia, scontata, netta ed inequivoca l’osservazione che uno Stato ed una comunità debbano pretendere sempre e comunque, col massimo rigore, da ogni persona che vive sul proprio territorio, il pieno rispetto delle leggi del Paese ospitante e che determinata e ferma debba essere la repressione di ogni atto di violenza e di illegalità, ovunque e da chiunque perpetrato.
Ma e’ stupefacente come non si pensi di predisporre e rafforzare neppure i più elementari interventi di prevenzione.
Ad esempio la creazione di un coordinamento combinato ed efficace dell’azione delle direzioni provinciali del lavoro, INPS, INAIL, ASL, di Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia..
Una misura di riorganizzazione minima, che non comporterebbe alcun aggravio dei costi, che è un mistero perchè non sia stata ancora realizzata. Ciascuna di queste strutture continua infatti ad operare in maniera sostanzialmente solitaria e separata.
Il recupero di una quantità ingente di risorse, derivate dalla lotta senza quartiere alla evasione ed all’elusione, potrebbe invece consentire la realizzazione di processi virtuosi di accoglienza e integrazione e la creazione di supplementari servizi sociali indispensabili ed ancora oggi manchevoli o prossimi al collasso ed alla soppressione.
La condizione dei lavoratori italiani, come è del tutto evidente, negli ultimi anni non è migliorata ed anzi è andata ulteriormente peggiorando.
La legge 30 e il progressivo smantellamento delle architravi su cui era basato il diritto del lavoro in Italia sono risultati in sostanza funzionali all’aggiramento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
L’infinita proliferazione dei molteplici e difformi tipi di rapporto di lavoro ha concorso a sfilacciare e indebolire la tenuta, la forza, l’unità del mondo del lavoro, con ovvie e negative conseguenze sul complesso della società locale e nazionale.
Il lavoro a progetto è stata un’invenzione capace di privare, in un sol colpo, in netto contrasto con ciò che da più parti si affermava, il lavoratore neo assunto del diritto alla tredicesima, alle ferie, al trattamento economico di malattia e per gli infortuni.
L’assoluto dominio della flessibilità, con la precarizzazione strutturale che ne è derivata, ha prodotto gravi effetti pratici e psicologici:si è resa ancora assai più fragile e incerta la condizione delle persone assunte con contratti atipici, mantenendole precarie per un tempo indefinito, con l’adozione di misure quali le collaborazioni temporanee ed a termine al posto dei contratti di lavoro a tempo indeterminato garantiti dalla legge.
Si sono addirittura realizzate misure che consentono il licenziamento immediato e senza giusta causa. E centinaia di migliaia di questi lavoratori, per di più giovani, negli ultimi mesi sono stati i primi ad essere espulsi dal mercato del lavoro al primo comparire del vento della crisi.
Una serie di atti ed esempi esemplificativi che, in conclusione, hanno dilatato a dismisura la condizione di già endemica incertezza..
La minaccia del licenziamento e della perdita dei diritti acquisiti e, col posto di lavoro, della dignità umana che esso comporta, da luogo a conseguenze dagli effetti devastanti, nell’immediato e poi in tempi differiti.
Una violenza strutturale che mina alla radice l’antica pratica e teoria della solidarietà su cui si è costruita nel tempo l’identità del mondo del lavoro in Italia.
Il lavoratore a progetto è una figura sconosciuta in tutti gli altri paesi europei.
La trasformazione di quei contratti in contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato è battaglia che va fatta! In definitiva contraddizioni si aggiungono a contraddizioni, rendendo sempre più incerto ed instabile il già fragile equilibrio precedente col rischio concreto del moltiplicarsi di aspri e innumerevoli conflitti.
Gli attuali rapporti sociali si collocano, in conclusione, ai margini se non fuori i concetti di democrazia e dei principi costituzionali, che non a caso fu a suo tempo formulata in modo prescrittivi e rigido.
Norme e diritti in essa contenuti erano intesi, al tempo della sua stesura, come vincolanti per l’intera produzione legislativa che ad essa ispirazione d’origine doveva essere coerente.
Oggi non è affatto così, ed anzi troppe leggi, approvate dagli anni 80 in poi, ne delineano un obiettivo sovvertimento con una conseguente fuoriuscita 5).
Bisogna invertire con la massima urgenza questa pericolosa condizione di autentica deriva e regressione riprendendo un’azione culturale e di mobilitazione di massa efficace, diffusa e duratura, che parta dal rilancio di una grande battaglia incentrata anzitutto sulla difesa delle fasce sociali più deboli, esposte e marginali, per ripristinare l’equilibrio di poteri incrinato iniziando finalmente a cambiare l’attuale andamento delle cose.
L’applicazione corretta della Costituzione impone ed è garante innanzitutto della difesa della parte più debole della società nazionale, o che comunque vive nel nostro Paese, all’autenticità di questa originaria impostazione è urgente e necessario far ritorno. Problemi senza dubbio complessi, e certo di non semplice ed immediata soluzione, ma banco di prova ineludibile per tutte le forze di progresso.
Seguendo ancora il filo di ragionamento, già da tempo proposto da Bauman, il compito immediato e indifferibile che ci si pone innanzi, a fronte degli acuti problemi proposti dalla gravità dell’ora, contro il cinismo e l’indifferenza che sembrano al giorno d’oggi in larga maggioranza prevalere, è quello di riconquistare e riempire di un nuovo senso l’Agorà, il pubblico spazio in cui esigenze private e pubblici bisogni s’incontrano, si combinano e si mischiano tra loro, lo spazio in cui si possano incontrare, di nuovo, in maniera feconda, individui autonomi e società autonoma.
Un’autonomia non estranea ed anzi ispirata a nuovi vincoli di solidarietà, che necessariamente non separano ma uniscono e rafforzano legami ed individui tra di loro. L’Italia ha bisogno vitale dell’avvio di un reale cambiamento di tal segno per riprendere guardare al futuro con speranza. Solo le battaglie che non si fanno sono già perdute.
E’ questa è una battaglia che si può e che si deve fare!!!
PIERO LUCIA
Note:
1) Anselmo Botte, “ Mannaggia la miseria, San Nicola Varco Storie di immigrazione terra-terra”, tipografia Fusco, Salerno, giugno 2.008, pp.190, poi ristampato da Ediesse, prefazione di Guglielmo Epifani.
2) Si consideri poi che negli attuali processi di ristrutturazione del mercato del lavoro gli stati nazione vedono il proprio margine di manovra che si restringe sempre più, si assiste alla creazione di gruppi di lavoro specifici, per esempio con l’individualizzazione dei salari e delle carriere sulla base delle competenze individuali, e la conseguente atomizzazione dei dipendenti; la riduzione del potere di difesa dei diritti collettivi dei lavoratori; l’indebolimento di:sindacati, associazioni, cooperative; e la profonda mutazione della stessa famiglia che, in seguito alla ristrutturazione dei mercati per fasce d’età, ha perso gran parte del controllo sul consumo.
3)La sanità campana è stata di recente commissariata per decisione del Governo, avendo accumulato un livello di esposizione debitoria gigantesco, del cui rientro non si ha certezza alcuna. Una situazione, a rischio di collasso, che sta già determinando, di conseguenza, la chiusura di servizi essenziali per il diritto alla vita e alla salute come i Pronto Soccorso. La presa d’atto postuma di un sostanziale fallimento.
La scuola pubblica, nella stessa Regione, a fronte delle decisioni di drastica riduzione della spesa finanziaria nel settore, vede a rischio circa 8.000 posti di lavoro di docenti e personale ATA, circa 1200 per la sola Provincia di Salerno. Una drastica e definitiva perdita di posti di lavoro e di professionalità qualificate senza alcuna seria ipotesi di reimpiego delle maestranze espulse in altri segmenti di attività educative e formative che pur potrebbero essere utilmente individuate. La Provincia di Salerno è a sua volta pienamente interna alla grave crisi che attanaglia i due comparti.
4) Il recente rapporto 2008 della Banca d’Italia sull’economia italiana, ed in specie sulla situazione della Regione Campania, evidenzia un quadro d’insieme particolarmente grave e compromesso. Lo stato dell’economia annaspa in maniera paurosa, cresce la crisi industriale, del turismo e del commercio,l’edilizia ristagna, aumenta a dismisura il ricorso al lavoro irregolare e al nero, crolla verticalmente il PIL regionale, s’incrementa sensibilmente la disoccupazione, in specie giovanile e femminile, c’è un vorticoso aumento del ricorso alla cassa integrazione, peggiora la qualità di molti servizi pubblici essenziali, cresce ulteriormente la piaga della criminalità che controlla totalmente intere aree e territori della Regione. E’ ripresa in maniera massiccia l’emigrazione, in specie di giovani con medio ed alto tasso di istruzione.
5) “Priva di sfoghi regolari, la nostra socialità viene tendenzialmente scaricata in esplosioni sporadiche e spettacolari, dalla vita breve, come tutte le esplosioni….. che si consumano rapidamente ( e noi) una volta tornati alle nostre faccende quotidiane, tutto riprende a funzionare come prima, come se nulla fosse successo
……..E quando la fiamma della fratellanza si esaurisce, chi viveva in solitudine si ritrova di nuovo solo, mentre il mondo comune, così sfolgorante solo un momento prima, sembra più buio che mai… L’opportunità di mutare questa condizione dipende dall’agorà: lo spazio né privato né pubblico, ma più esattamente privato e pubblico al tempo stesso… Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo…. Per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; lo spazio in cui possono nascere e prendere forma idee quali “ bene pubblico”, “società giusta” o “ valori condivisi”. Il problema è che oggi è rimasto poco degli antichi spazi Privati/pubblici, ma non se ne intravedono di nuovi idonei a rimpiazzarli”
In : Zygmunt Bauman, “ La solitudine del cittadino globale”, pgg.11 e 26; U.E. Saggi Feltrinelli, aprile 2008.
Ringrazio Piero Lucia ( nella foto ) per il suo contributo a questo Blog.
Giovanni De Rosa
Un libro - inchiesta, apparso di recente, 1) ha l’indubbio merito di aver portato in emersione, con grande crudezza ed efficacia, utilizzando l’agile stile proprio del racconto, la condizione di estremo degrado e sfruttamento in cui da tempo versano alcune centinaia di lavoratori provenienti dal Maghreb, che, nella quasi totale indifferenza delle istituzioni e delle forze politiche locali e regionali, si consuma nel cuore della Piana del Sele, a San Nicola Varco, nei pressi di Eboli, in Provincia di Salerno.
Sono 700 i giovani, in prevalenza marocchini, di cui si ha notizia, accampati in condizioni di fortuna, in autentici tuguri spesso privi di servizi igienici, acqua, gas e illuminazione. Vivono una condizione di segregazione e marginalità assoluta, in un ghetto, e sono impiegati in agricoltura, come stagionali, nella raccolta dei prodotti della terra, quasi tutti lavorano al nero.
Sono persone senza alcuna tutela contrattuale, normativa e salariale, sottoposte ai soprusi e alle angherie dei caporali, spesso periodicamente impiegate anche in altre aree dell’Italia meridionale, emigrate dai loro paesi d’origine ancora oggi condannati all’endemica miseria.
Essi, lasciate alle loro spalle condizioni di estrema povertà e di conflitti acuti, di frequente sanguinosi, si sono messi alla disperata ricerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie.
Una situazione estrema e sintomatica, fotografata anche grazie ad alcune specifiche interviste dei diretti interessati, su cui troppo forte è stata ed è la propensione a stendere un velo di assoluto e colpevole silenzio.
Una condizione, d’incertezza e di degrado, che induce ad alcune considerazioni integrative, più ampie e generali e che impone, in ogni caso, l’obbligo di un’azione impegnativa collettiva e determinata di contrasto, istituzionale e sociale, a scelte economiche ed impostazioni culturali nuove non oltre nel tempo diluibili.
La prima elementare riflessione, che immediatamente si impone, è che appare sempre più perdente, illusoria e vana l’idea di guardare il mondo attuale, col suo groviglio di contraddizioni in apparenza irrisolvibili, in prevalenza ma non solo incentrate nelle aree più marginali del mondo, chiusi ed arroccati nelle anguste fortezze e casematte delle singole realtà locali, puntando magari a costruire intorno ad esse improbabili muri e inaccessibili recinti.
Ogni questione locale, infatti, non è più strutturalmente risolvibile, se mai lo è stata, nell’ambito esclusivo delle mura domestiche, non si tiene per proprio conto e da sola ed obbliga ad azioni ed a politiche coordinate, di ben più ampio spettro, di natura sopranazionale, tra i diversi Stati del vecchio continente e le nazioni più sviluppate, evolute e progredite del mondo.
Dimensioni, quelle locali e le altre, continentali e planetarie, sempre più interconnesse ed interdipendenti tra di loro. E, di conseguenza, una tale situazione, presente in forme simili se non eguali a macchia d’olio in più punti dell’Europa e della stessa Italia, impone a tutti i paesi più avanzati, ed in specie al nostro, da un lato l’immediato avvio di efficaci politiche dell’accoglienza dall’altro il rilancio, dopo decenni di colpevole ed assoluta inerzia, di piani concreti di aiuto ai paesi in ritardo di sviluppo e tali da consentire, con le ovvie gradualità, l’inizio di una strutturale e duratura fuoriuscita dalle condizioni di fame, di miseria, d’indigenza strutturale in cui vivono larga parte delle popolazioni del Sud ed ora anche dell’est del mondo. Aiuti economici e finanziari, concreti e mirati, a partire da quello di garantire il bene primario dell’acqua e la liquidazione delle epidemie nel continente nero, capaci di favorire finalmente l’avvio di uno sviluppo effettivamente endogeno ed autopropulsivo.
Non c’è pace e sicurezza vere se appena oltre i nostri confini, nei paesi dell’altra sponda del mediterraneo, c’è povertà, degrado, disperazione, guerra.
Oggi siamo ancora pienamente immersi nel pieno del ciclone di una gravissima recessione mondiale che, generata dalla drammatica crisi finanziaria che ha avuto origine negli USA, si è pesantemente riversata, come era prevedibile, sul resto dell’Europa e del mondo. Una crisi gravissima che sta continuando a distruggere risorse finanziarie e milioni di posti di lavoro. L’ondata recessiva è tuttora in atto ed avrà molto probabilmente una ulteriore accelerata nei prossimi mesi del 2009 e nel 2010, con margini di distribuzione di ricchezza sempre più assottigliati.
L’Italia, per limitarci soltanto al nostro paese, ha visto registrare, proprio nel 2009, un crollo del PIL del 5,5%, l’emersione di una situazione assai acuta e delicata, di una dimensione mai conosciuta negli ultimi decenni, una drastica inversione di tendenza rispetto al recente e più lontano passato di crescita graduale e progressiva, magari lenta e altalenante, ma sicura.
E purtroppo invece di frequente la rappresentazione del reale appare contraddittoria ed edulcorata, virtuale ed in stridente contrasto rispetto alla realtà, e troppo spesso non ha voce e rilievo alcuno né è ascoltata la parte del paese in più palese ed acuta sofferenza.
Aspro il contrasto tra le necessità dell’ora e il vacuo chiacchiericcio inconcludente di una politica troppo di frequente schiacciata, nelle sue quotidiane rappresentazioni, su questioni marginali, secondarie, di dettaglio.
Oggi infatti, nei tempi complessi e gravi in cui viviamo, segnati per tante persone da sempre più acute incertezze sul prossimo futuro, gran parte del dibattito politico nazionale continua ad apparire di frequente e irresponsabilmente irreale, degradato a scontri, veleni, ritorsioni, vendette trasversali che poco o nulla si conciliano con l’incalzare dei drammatici problemi del Paese e con la capacità di rimozione delle sue vere cause.
E così, con ciclica frequenza, il dibattito politico nazionale si incentra sul tema, spesso agitato in maniera strumentale, della sicurezza e sull’allarme criminalità.
Le questioni, di gran lunga prevalenti, su cui si è concentrato e ormai si concentra il confronto politico in Italia e che ha avuto i suoi echi anche nell’ultima recente campagna elettorale per le Europee.
E’ questo il terreno privilegiato su cui le forze in campo, in buona parte, da tempo si contendono l’egemonia ed il consenso.
In tale contesto il fenomeno dei lavavetri, dei graffitari, dei parcheggiatori abusivi, dei mendicanti e poi dei rom, degli zingari, dei rumeni, degli albanesi e degli slavi, dei lavoratori in nero impiegati in prevalenza nei lavori agricoli e nelle campagne della pianura padana e dell’Italia meridionale, nei settori delle costruzioni oltre che in altre svariate attività che da troppo tempo in verità gli italiani rifiutano, ha negli ultimi mesi concentrato fortemente l’attenzione della pubblica opinione.
La criminalità di sussistenza sembra in tal modo essere divenuta il vero e forse l’unico tema di cui occuparsi, l’emergenza che, se non affrontata drasticamente e con strumenti draconiani, rischia di minare la civile convivenza e la serenità, l’insieme di valori su cui si fonda il modo d’essere e la concordia della nostra comunità.
Si ha la percezione di una diffusa crescita e incontrollata condizione di ansia e insicurezza, le cui ragioni e cause più profonde risultano in verità piuttosto oscure e indefinite e non di rado sfuggono.
Pertanto difficili da tenere razionalmente sotto controllo e da governare in maniera adeguata, composta e razionale anche quando le si riesce a percepire in maniera non pregiudizialmente distorta. E in questo contesto riemergono e si moltiplicano preoccupanti pulsioni e si verificano sempre più numerosi episodi di natura autenticamente razzista.
Fatto è che, a fronte dell’aggravarsi del pericoloso stato di incertezza già in premessa richiamato, riesce complicato resistere alla tentazione di individuare, in maniera semplificata e rapida, presunti ed esclusivi colpevoli contro cui intraprendere un’azione in apparenza difensiva ma in realtà offensiva, ostile e punitiva.
Si torna così ad azioni repressive contro i mendicanti, al drastico richiamo alla stessa Europa a politiche di rigida chiusura dei confini, a misure sempre più aspre contro “l’immigrazione clandestina” e sostanzialmente si abbandona ogni determinata azione, ogni minimo progetto o idea rivolti piuttosto alla comprensione delle ragioni degli altri, all’inclusione sociale e alla solidarietà. Una strada che non si tenta affatto. Solo la voce della Chiesa sembra levarsi contro una tale deriva rovinosa.
Ai Sindaci vengono attribuiti particolari poteri repressivi. C’è, in sostanza, una convergenza a confondere e identificare, arbitrariamente, marginalità e criminalità, militarizzando la società contro le varie forme di devianza, o sbrigativamente ritenute tali, che tendono a diffondersi a macchia d’olio nel tempo della crisi economica e sociale da cui ancora non si intravede una positiva fuoriuscita.
Un trascinamento ritardato, di comportamenti e di tendenze, già da tempo apparse in paesi come gli USA, dove l’uso di una militarizzazione poderosa della società non ha prodotto la riduzione quanto piuttosto l’incremento di fenomeni di violenza e di criminalità.
In quella parte del mondo, infatti, negli ultimi anni, con l’esclusione sociale è aumentata l’insicurezza, assieme al numero di rapine, furti, aggressioni, stupri ed omicidi.
L’Europa e, in questo contesto, l’Italia in special modo, sembrano avere smarrito, in questa fase, il meglio della propria storia passata e della propria cultura e civiltà e le peculiari tradizioni di tolleranza e di accoglienza.
Sembra sfiorita e persa per sempre la specificità di una democrazia partecipata che, garantendo ai propri cittadini innanzi tutto il diritto al lavoro e all’istruzione, favorisca la crescita culturale ed il benessere economico dei suoi membri e sia indotta ad affrontare i problemi che di volta in volta si pongono predisponendo per essi, a tempo, adeguate soluzioni in grado di intervenire, contemporaneamente, su più livelli e piani. E d’altra parte è ormai ampiamente riconosciuta l’indispensabilità del contributo dei lavoratori emigrati nel garantire la continuità del lavoro in tante aziende italiane, in specie ma non solo del Nord Est, a fronte della difficoltà a reperire forza lavoro locale anche a fronte del processo da decenni in atto di progressivo invecchiamento della popolazione.
La sicurezza, da noi, è sempre stata intesa, nel passato, come sicurezza sociale, come concetto che doveva anzitutto prevedere l’affermazione di inalienabili diritti sociali e di cittadinanza ( dal lavoro, alla salute, alla casa, alla previdenza, alla sussistenza, all’istruzione) mai separabili dai diritti di libertà, incentrati su un giusto equilibrio tra diritti e doveri, da non delegare in maniera pressoché esclusiva alle questioni di ordine pubblico e repressione.
E lo Stato democratico, nel dettato costituzionale originale della nostra Nazione, non a caso deve intervenire, con specifici interventi legislativi, finanziari, economici e sociali atti a rimuovere le ragioni e gli ostacoli strutturali che sono alla base dell’impedimento della concreta realizzazione di questo insieme di diritti essenziali per la piena affermazione della personalità di ognuno e di tutti.
Lo Stato italiano condanna poi qualsiasi forma di discriminazione politica, religiosa, razziale, sessuale. Ebbene, in realtà, sembra che si stia determinando piuttosto, passo dopo passo, in difformità dal dettato costituzionale, una pericolosa e profonda mutazione dei cardini su cui è stata a lungo incentrata, dal secondo dopoguerra in poi, la nostra vita nazionale e la stessa identità della Repubblica.
Una tendenza, in sostanza, alla graduale manomissione dei capisaldi essenziali della Costituzione 2).
L’articolo 41, al terzo capoverso, a tal proposito non a caso sostiene che “ la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali ”.
Eppure un tale concetto è stato rovesciato sempre più nel suo contrario.
Non c’è infatti equilibrio, né misura, tra la salvaguardia delle condizioni di vita e di lavoro di tanti lavoratori dipendenti se ciò sembra confliggere con la libertà d’impresa e gli imperativi del mercato. Illuminante risulta al proposito la strage che annualmente si consuma sui posti di lavoro, con migliaia e migliaia di operai morti o feriti sul lavoro, in special modo in Italia, e per cui finora pressoché mai nessun datore di lavoro ha pagato.
Oltre un anno fa la stampa nazionale, già prima del libro-inchiesta su San Nicola Varco, diede un certo risalto alla incredibile vicenda dei lavoratori rumeni stagionali impegnati nelle campagne pugliesi.
Sfruttamento schiavistico, percosse e maltrattamenti continui, assenza di ogni diritto e tutela, anche la più elementare. E quella situazione, di cui già a quel tempo tutti sapevano tutto, ancora oggi non migliora ed essa in verità non è solo circoscritta a quella situazione ma continua ad interessare anche altre importanti aree geografiche dello stesso mezzogiorno compresa, come si è ricordato in premessa, la stessa Provincia di Salerno.
Eppure non si fa un decreto che affranchi il lavoratore e riconosca il diritto di soggiorno all’emigrato che denunci per maltrattamenti il datore di lavoro. Di conseguenza lo Stato italiano, più che alleato è, quasi sempre, percepito come pregiudizialmente nemico e ostile dal lavoratore immigrato.
L’ossessione della sicurezza, questione vera ma dilatata spesso strumentalmente a dismisura, e l’arroganza tendono a riempire l’assordante vuoto di analisi, di progetto, di risposte.
Le misure unilaterali adottate in nome della sicurezza personale, in conclusione, stanno producendo pericolose involuzioni, tendenze di divisione e non proprio d’inclusione, seminano il sospetto e la paura incontrollate, allontanano le persone, le spingono a vedere cospiratori e nemici dietro ogni distinzione di etnie, razze e religioni e, più che dare risposte efficaci e persuasive, distraggono sempre di più i poteri nazionali e locali dall’urgenza di riportare i grandi problemi nuovi del tempo presente nell’ambito di uno spazio pubblico la cui gestione sia più ampiamente collettiva e politica.
Si spara troppo spesso alla cieca e nel mucchio, evitando di effettuare i distinguo necessari.
I pochi spazi di partecipazione alla vita pubblica rimasti sono di conseguenza sostanzialmente vuoti e senza valore alcuno, il che facilita la politica miope e gravida di incognite delle forze che tendono all’obiettivo di ridimensionarli e di ridurli gradualmente e sempre più.
D’altra parte non sono più considerati crimini la corruzione, la frode e l’evasione fiscale, il falso in bilancio, il riciclaggio del danaro sporco, la devastazione dell’ambiente, gli attentati alla salute, l’inquinamento, la riduzione delle persone in schiavitù, lo sfruttamento della manodopera clandestina, gli infortuni sul lavoro. Si pratica, in definitiva, una politica di repressione dell’illegalità a senso unico ed a geometria variabile.
Degenerazioni e disequilibri gravissimi che chiamano in causa il perverso meccanismo che regola la nostra organizzazione economica e sociale e la sua natura non aperta ed inclusiva quanto piuttosto escludente ed antiegualitaria. E l’area della marginalità si allarga a dismisura, seppure in forme diverse e non eguali.
A tal proposito il mito della flessibilità, poi, questa la seconda osservazione che mi sento di proporre, ha dato un colpo di maglio pesantissimo ed ha anzi per più aspetti liquidato i capisaldi del diritto del lavoro conquistato in decenni di aspre e dure lotte del movimento dei lavoratori.
Il ventaglio delle contraddizioni, in sostanza, si è ampliato a dismisura in larga parte coinvolgendo e destrutturando l’attuale composizione del mondo del lavoro.
Ha anzi eroso o sta erodendo gran parte delle conquiste del mondo del lavoro e generando al suo interno una supplementare e grave condizione di disuguaglianza ed ingiustizia.
Si radica e si accentua, di conseguenza, una profonda e lacerante incertezza esistenziale.
L’uomo moderno, in questo contesto, appare sempre più spaurito, indifferente, poco appassionato e distante dalle vicende della vita pubblica, solo e portato alla chiusura negli angusti confini recintati della propria esclusiva individualità.
Una generazione di giovani lavoratori italiani impara che non ha quasi più alcun diritto e che la precarietà è diventata la condizione strutturale permanente della propria vita presente e futura. Una situazione ben più grave e peggiore delle generazioni che la hanno preceduta.
La politica conserva di converso una dimensione d’intervento essenzialmente locale mentre, più in generale, la classe politica persiste nella tendenza a cercare rimedi e spiegazioni contingenti, di mera gestione, nell’ambito prossimo al parziale e pallido terreno dell’esperienza quotidiana mentre invece la struttura di base dell’economia globale è sempre più indipendente addirittura dalla struttura politica del mondo e sempre più di frequente ne invade e ne viola i confini.
Anzi il potere, quello vero, appare sempre più distinto e separato dalla politica e dalla sua rappresentazione, quando non ad essa ed ai suoi rituali a sua volta estraneo e indifferente.
Esso, in un certo qual senso, fluisce; grazie alla sua mobilità meno vincolata, ed è sempre più globale, ovvero extraterritoriale, nel mentre tutte le istituzioni politiche esistenti eleggibili e rappresentative si ostinano a rimanere in una dimensione esclusivamente e subalternamente locale.
Il cittadino moderno, così, oggi appare solo come un consumatore, passivo e del tutto subalterno ai voleri ed alle decisioni imposte, spesso in modo artificioso, dagli indirizzi e dagli orientamenti prevalenti dei potentati economici che condizionano ed orientano il mercato.
La competitività dell’impresa sembra essere diventata l’unica cosa da salvaguardare ad ogni costo, l’esclusivo totem a cui è lecito sacrificare i propri diritti individuali e collettivi conquistati nel passato con grandi lotte ed enormi sacrifici e finanche la propria libertà.
Il padrone a sua volta diviene il solo soggetto che governa il tuo lavoro, le tue braccia, la tua intelligenza, il tuo tempo e l’organizzazione completa della tua esistenza e ne scandisce i tempi con le modalità.
Chi si oppone a tendenze e derive di tal fatta o ad esse non si adegua è nemico del “progresso” e della “modernità”. Concetti oggi sempre più irreali, aleatori, incerti. L’unilateralità del potere dell’impresa, questo il nuovo dogma della contemporaneità, non va mai più messo in discussione, così come avveniva nel secolo scorso, tanti decenni fa.
Una tale ideologia ha permeato i vari gangli delle attività umane, ed anche la pubblica amministrazione, presidio ritenuto a lungo nel passato in qualche modo più inviolabile e amico. Molti servizi iniziano ad essere nella sostanza smantellati, si pensi in specie all’istruzione ed alla sanità pubblica 3), ed altri, anche di natura sociale, vengono disinvoltamente affidati in appalto, senza controllo sul rispetto dei contratti collettivi, sulla base del massimo ribasso d’asta, con gravissime e spesso letali conseguenze sulla sicurezza del lavoro. La scuola pubblica vive, a fronte di scelte draconiane di riduzione della spesa, una condizione che sembra ormai prossima al collasso, in specie nelle Regioni meridionali, in Campania e nella Provincia di Salerno 4), mentre l’investimento su cultura e conoscenza, sulla formazione permanente e lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica costituisce, ancora più che nel passato, l’elemento decisivo per invertire la tendenza all’inarrestabile declino del Paese. E invece migliaia di posti di lavoro dal mattino alla sera si volatizzano e vengono soppressi, in specie in Regioni come la Campania ed in Province come quelle di Salerno con un tasso di disoccupazione e di precarietà già particolarmente elevato.
Non ci si pone affatto il problema di utilizzare questa forza lavoro intellettuale in funzioni nuove e innovative, in pratiche formative rivolte anzitutto in direzione delle fasce di consistente evasione scolastica, a partire dalle periferie urbane, ovvero per favorire politiche e pratiche di integrazione di cittadini extracomunitari che ormai da tempo soggiornano, in pianta stabile, nelle nostre realtà. Ne è all’ordine del giorno l’idea di ampliare gli orari attuali aprendo i plessi scolastici anche al pomeriggio.
E’ in atto un processo di distruzione autentica, di destrutturazione ed annullamento di grandi risorse intellettuali e umane di elevata qualità. Al contempo sembra essere ripresa, ed anzi accentuarsi, la prassi troppo diffusa dell’evasione fiscale, plateale esempio di ingiustizia e di diversità di condizione dei cittadini di fronte alla legge, così che le risorse, già scarse, si assottigliano sempre di più.
E i servizi ispettivi adibiti al contrasto delle illegalità troppo di frequente sono lasciati, nei diversi territori del paese, al Nord come al Sud, in uno stato di assoluto abbandono, senza l’adeguamento necessario delle piante organiche. Di conseguenza la loro funzione latita gravemente.
Lo Stato, di conseguenza, già in partenza rinuncia ad una notevole quantità di ulteriori risorse in entrata, risultando inadeguato e inerme nell’affrontare i gravi e nuovi problemi che si pongono..
Ovvia, scontata, netta ed inequivoca l’osservazione che uno Stato ed una comunità debbano pretendere sempre e comunque, col massimo rigore, da ogni persona che vive sul proprio territorio, il pieno rispetto delle leggi del Paese ospitante e che determinata e ferma debba essere la repressione di ogni atto di violenza e di illegalità, ovunque e da chiunque perpetrato.
Ma e’ stupefacente come non si pensi di predisporre e rafforzare neppure i più elementari interventi di prevenzione.
Ad esempio la creazione di un coordinamento combinato ed efficace dell’azione delle direzioni provinciali del lavoro, INPS, INAIL, ASL, di Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia..
Una misura di riorganizzazione minima, che non comporterebbe alcun aggravio dei costi, che è un mistero perchè non sia stata ancora realizzata. Ciascuna di queste strutture continua infatti ad operare in maniera sostanzialmente solitaria e separata.
Il recupero di una quantità ingente di risorse, derivate dalla lotta senza quartiere alla evasione ed all’elusione, potrebbe invece consentire la realizzazione di processi virtuosi di accoglienza e integrazione e la creazione di supplementari servizi sociali indispensabili ed ancora oggi manchevoli o prossimi al collasso ed alla soppressione.
La condizione dei lavoratori italiani, come è del tutto evidente, negli ultimi anni non è migliorata ed anzi è andata ulteriormente peggiorando.
La legge 30 e il progressivo smantellamento delle architravi su cui era basato il diritto del lavoro in Italia sono risultati in sostanza funzionali all’aggiramento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
L’infinita proliferazione dei molteplici e difformi tipi di rapporto di lavoro ha concorso a sfilacciare e indebolire la tenuta, la forza, l’unità del mondo del lavoro, con ovvie e negative conseguenze sul complesso della società locale e nazionale.
Il lavoro a progetto è stata un’invenzione capace di privare, in un sol colpo, in netto contrasto con ciò che da più parti si affermava, il lavoratore neo assunto del diritto alla tredicesima, alle ferie, al trattamento economico di malattia e per gli infortuni.
L’assoluto dominio della flessibilità, con la precarizzazione strutturale che ne è derivata, ha prodotto gravi effetti pratici e psicologici:si è resa ancora assai più fragile e incerta la condizione delle persone assunte con contratti atipici, mantenendole precarie per un tempo indefinito, con l’adozione di misure quali le collaborazioni temporanee ed a termine al posto dei contratti di lavoro a tempo indeterminato garantiti dalla legge.
Si sono addirittura realizzate misure che consentono il licenziamento immediato e senza giusta causa. E centinaia di migliaia di questi lavoratori, per di più giovani, negli ultimi mesi sono stati i primi ad essere espulsi dal mercato del lavoro al primo comparire del vento della crisi.
Una serie di atti ed esempi esemplificativi che, in conclusione, hanno dilatato a dismisura la condizione di già endemica incertezza..
La minaccia del licenziamento e della perdita dei diritti acquisiti e, col posto di lavoro, della dignità umana che esso comporta, da luogo a conseguenze dagli effetti devastanti, nell’immediato e poi in tempi differiti.
Una violenza strutturale che mina alla radice l’antica pratica e teoria della solidarietà su cui si è costruita nel tempo l’identità del mondo del lavoro in Italia.
Il lavoratore a progetto è una figura sconosciuta in tutti gli altri paesi europei.
La trasformazione di quei contratti in contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato è battaglia che va fatta! In definitiva contraddizioni si aggiungono a contraddizioni, rendendo sempre più incerto ed instabile il già fragile equilibrio precedente col rischio concreto del moltiplicarsi di aspri e innumerevoli conflitti.
Gli attuali rapporti sociali si collocano, in conclusione, ai margini se non fuori i concetti di democrazia e dei principi costituzionali, che non a caso fu a suo tempo formulata in modo prescrittivi e rigido.
Norme e diritti in essa contenuti erano intesi, al tempo della sua stesura, come vincolanti per l’intera produzione legislativa che ad essa ispirazione d’origine doveva essere coerente.
Oggi non è affatto così, ed anzi troppe leggi, approvate dagli anni 80 in poi, ne delineano un obiettivo sovvertimento con una conseguente fuoriuscita 5).
Bisogna invertire con la massima urgenza questa pericolosa condizione di autentica deriva e regressione riprendendo un’azione culturale e di mobilitazione di massa efficace, diffusa e duratura, che parta dal rilancio di una grande battaglia incentrata anzitutto sulla difesa delle fasce sociali più deboli, esposte e marginali, per ripristinare l’equilibrio di poteri incrinato iniziando finalmente a cambiare l’attuale andamento delle cose.
L’applicazione corretta della Costituzione impone ed è garante innanzitutto della difesa della parte più debole della società nazionale, o che comunque vive nel nostro Paese, all’autenticità di questa originaria impostazione è urgente e necessario far ritorno. Problemi senza dubbio complessi, e certo di non semplice ed immediata soluzione, ma banco di prova ineludibile per tutte le forze di progresso.
Seguendo ancora il filo di ragionamento, già da tempo proposto da Bauman, il compito immediato e indifferibile che ci si pone innanzi, a fronte degli acuti problemi proposti dalla gravità dell’ora, contro il cinismo e l’indifferenza che sembrano al giorno d’oggi in larga maggioranza prevalere, è quello di riconquistare e riempire di un nuovo senso l’Agorà, il pubblico spazio in cui esigenze private e pubblici bisogni s’incontrano, si combinano e si mischiano tra loro, lo spazio in cui si possano incontrare, di nuovo, in maniera feconda, individui autonomi e società autonoma.
Un’autonomia non estranea ed anzi ispirata a nuovi vincoli di solidarietà, che necessariamente non separano ma uniscono e rafforzano legami ed individui tra di loro. L’Italia ha bisogno vitale dell’avvio di un reale cambiamento di tal segno per riprendere guardare al futuro con speranza. Solo le battaglie che non si fanno sono già perdute.
E’ questa è una battaglia che si può e che si deve fare!!!
PIERO LUCIA
Note:
1) Anselmo Botte, “ Mannaggia la miseria, San Nicola Varco Storie di immigrazione terra-terra”, tipografia Fusco, Salerno, giugno 2.008, pp.190, poi ristampato da Ediesse, prefazione di Guglielmo Epifani.
2) Si consideri poi che negli attuali processi di ristrutturazione del mercato del lavoro gli stati nazione vedono il proprio margine di manovra che si restringe sempre più, si assiste alla creazione di gruppi di lavoro specifici, per esempio con l’individualizzazione dei salari e delle carriere sulla base delle competenze individuali, e la conseguente atomizzazione dei dipendenti; la riduzione del potere di difesa dei diritti collettivi dei lavoratori; l’indebolimento di:sindacati, associazioni, cooperative; e la profonda mutazione della stessa famiglia che, in seguito alla ristrutturazione dei mercati per fasce d’età, ha perso gran parte del controllo sul consumo.
3)La sanità campana è stata di recente commissariata per decisione del Governo, avendo accumulato un livello di esposizione debitoria gigantesco, del cui rientro non si ha certezza alcuna. Una situazione, a rischio di collasso, che sta già determinando, di conseguenza, la chiusura di servizi essenziali per il diritto alla vita e alla salute come i Pronto Soccorso. La presa d’atto postuma di un sostanziale fallimento.
La scuola pubblica, nella stessa Regione, a fronte delle decisioni di drastica riduzione della spesa finanziaria nel settore, vede a rischio circa 8.000 posti di lavoro di docenti e personale ATA, circa 1200 per la sola Provincia di Salerno. Una drastica e definitiva perdita di posti di lavoro e di professionalità qualificate senza alcuna seria ipotesi di reimpiego delle maestranze espulse in altri segmenti di attività educative e formative che pur potrebbero essere utilmente individuate. La Provincia di Salerno è a sua volta pienamente interna alla grave crisi che attanaglia i due comparti.
4) Il recente rapporto 2008 della Banca d’Italia sull’economia italiana, ed in specie sulla situazione della Regione Campania, evidenzia un quadro d’insieme particolarmente grave e compromesso. Lo stato dell’economia annaspa in maniera paurosa, cresce la crisi industriale, del turismo e del commercio,l’edilizia ristagna, aumenta a dismisura il ricorso al lavoro irregolare e al nero, crolla verticalmente il PIL regionale, s’incrementa sensibilmente la disoccupazione, in specie giovanile e femminile, c’è un vorticoso aumento del ricorso alla cassa integrazione, peggiora la qualità di molti servizi pubblici essenziali, cresce ulteriormente la piaga della criminalità che controlla totalmente intere aree e territori della Regione. E’ ripresa in maniera massiccia l’emigrazione, in specie di giovani con medio ed alto tasso di istruzione.
5) “Priva di sfoghi regolari, la nostra socialità viene tendenzialmente scaricata in esplosioni sporadiche e spettacolari, dalla vita breve, come tutte le esplosioni….. che si consumano rapidamente ( e noi) una volta tornati alle nostre faccende quotidiane, tutto riprende a funzionare come prima, come se nulla fosse successo
……..E quando la fiamma della fratellanza si esaurisce, chi viveva in solitudine si ritrova di nuovo solo, mentre il mondo comune, così sfolgorante solo un momento prima, sembra più buio che mai… L’opportunità di mutare questa condizione dipende dall’agorà: lo spazio né privato né pubblico, ma più esattamente privato e pubblico al tempo stesso… Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo…. Per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; lo spazio in cui possono nascere e prendere forma idee quali “ bene pubblico”, “società giusta” o “ valori condivisi”. Il problema è che oggi è rimasto poco degli antichi spazi Privati/pubblici, ma non se ne intravedono di nuovi idonei a rimpiazzarli”
In : Zygmunt Bauman, “ La solitudine del cittadino globale”, pgg.11 e 26; U.E. Saggi Feltrinelli, aprile 2008.
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