Maggio....
Maria di Nazareth, dal film di Guido Chiesa: " Io sono con te". |
di don Tonino Bello
I love you. Je t'aime. Te
quiero. Ich liebe Dich.
Ti voglio bene, insomma.
Io non so se ai tempi di Maria si adoperassero gli stessi messaggi d'amore, teneri come giaculatorie e rapidi come graffiti, che le ragazze di oggi incidono furtivamente sul libro di storia o sugli zaini colorati dei loro compagni di scuola.
Io non so se ai tempi di Maria si adoperassero gli stessi messaggi d'amore, teneri come giaculatorie e rapidi come graffiti, che le ragazze di oggi incidono furtivamente sul libro di storia o sugli zaini colorati dei loro compagni di scuola.
Penso però, che, se
non proprio con la penna a sfera sui jeans, o con i gessetti sui muri, le
adolescenti di Palestina si comportassero come le loro coetanee di oggi.
Con "stilo di scriba veloce" su una corteccia di sicomòro, o con la punta del vincastro sulle sabbie dei pascoli, un codice dovevano pure averlo per trasmettere ad altri quel sentimento, antico e sempre nuovo, che scuote l'anima di ogni essere umano quando si apre al mistero della vita:ti voglio bene!
Con "stilo di scriba veloce" su una corteccia di sicomòro, o con la punta del vincastro sulle sabbie dei pascoli, un codice dovevano pure averlo per trasmettere ad altri quel sentimento, antico e sempre nuovo, che scuote l'anima di ogni essere umano quando si apre al mistero della vita:ti voglio bene!
Anche Maria ha sperimentato quella stagione splendida dell'esistenza, fatta di
stupori e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, di tenerezza e trepidazione,
in cui, come in una coppa di cristallo, sembrano distillarsi tutti i profumi
dell'universo.
Ha assaporato pure lei la gioia degli incontri, l'attesa delle feste, gli slanci dell'amicizia, l'ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo.
Ha assaporato pure lei la gioia degli incontri, l'attesa delle feste, gli slanci dell'amicizia, l'ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo.
Cresceva come un'anfora sotto le mani del vasaio, e tutti si interrogavano sul
mistero di quella trasparenza senza scorie e di quella freschezza senza ombre.
Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: "Maria, ti amo". Lei gli rispose veloce come un brivido: "Anch'io". E nell'iride degli occhi le sfavillarono riflesse, tutte le stelle del firmamento.
Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: "Maria, ti amo". Lei gli rispose veloce come un brivido: "Anch'io". E nell'iride degli occhi le sfavillarono riflesse, tutte le stelle del firmamento.
Le compagne, che sui prati sfogliavano con lei i petali di verbena, non
riuscivano a spiegarsi come facesse a comporre i suoi rapimenti in Dio e la sua
passione per una creatura. Il sabato la vedevano assorta nell'esperienza
sovrumana dell'estasi, quando, nei cori della sinagoga, cantava: "O Dio,
tu sei il mio Dio, dall'aurora ti cerco: di te ha sete l'anima mia come terra
deserta, arida, senz'acqua". Poi la sera rimanevano stupite quando,
raccontandosi a vicenda le loro pene d'amore sotto il plenilunio, la sentivano
parlare del suo fidanzato, con le cadenze del Cantico dei cantici:"Il mio
diletto è riconoscibile tra mille...I suoi occhi, come colombe su ruscelli di
acqua...Il suo aspetto è come quello del Libano, magnifico tra i cedri..."
Per loro, questa composizione era un' impresa disperata. Per Maria, invece, era
come mettere insieme i due emistichi d'un versetto dei salmi.
Per loro, l'amore umano che sperimentavano era come l'acqua di una cisterna: limpidissima, si, ma con tanti detriti sul fondo.Bastava un nonnulla perchè i fondigli si rimescolassero e le acque divenissero torbide. Per lei, no. Non potevano mai capire, le ragazze di Nazaret, che l'amore di Maria non aveva fondigli, perchè il suo era un pozzo senza fondo.
Per loro, l'amore umano che sperimentavano era come l'acqua di una cisterna: limpidissima, si, ma con tanti detriti sul fondo.Bastava un nonnulla perchè i fondigli si rimescolassero e le acque divenissero torbide. Per lei, no. Non potevano mai capire, le ragazze di Nazaret, che l'amore di Maria non aveva fondigli, perchè il suo era un pozzo senza fondo.
Santa Maria, donna innamorata, roveto inestinguibile di amore, noi dobbiamo
chiederti perdono per aver fatto un torto alla tua umanità. Ti abbiamo ritenuta
capace solo di fiamme che si alzano verso il cielo, ma poi, forse per paura di
contaminarti con le cose della terra, ti abbiamo esclusa dall’esperienza delle
piccole scintille di quaggiù. Tu, invece, rogo di carità per il Creatore, ci
sei maestra anche di come si amano le creature.
Aiutaci, perciò, a ricomporre le assurde dissociazioni con cui, in tema di amore, portiamo avanti contabilità separate: una per il cielo (troppo povera in verità), e l’altra per la terra (ricca di voci, ma anemica di contenuti). Facci capire che l’amore e sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio. Ma facci comprendere anche che, con lo stesso fuoco, oltre che accendere lampade di gioia, abbiamo la triste possibilità di fare terra bruciata delle cose più belle della vita.
Perciò, Santa Maria , donna innamorata, se è vero, come canta la liturgia, che tu sei la "Madre del bell'amore", accoglici alla tua scuola. Insegnaci ad amare. E' un'arte difficile che si impara lentamente. Perchè si tratta di liberare la brace, senza spegnerla, da tante stratificazioni di cenere.
Amare, voce del verbo morire, significa decentrarsi. Uscire da sé. Dare senza
chiedere. Essere discreti al limite del silenzio. Soffrire per far cadere le
squame dell’egoismo. Togliersi di mezzo quando si rischia di compromettere la
pace di una casa. Desiderare la felicità dell’altro. Rispettare il suo destino.
E scomparire, quando ci si accorge di turbare la sua missione.
Santa Maria, donna
innamorata, visto che il Signore ti ha detto: «Sono in te tutte le mie
sorgenti», facci percepire che è sempre l’amore la rete sotterranea di quelle
lame improvvise di felicità che, in alcuni momenti della vita, ti trapassano lo
spirito, ti riconciliano con le cose e ti danno la gioia di esistere.
Solo tu puoi farci cogliere la santità che soggiace a quegli arcani trasalimenti dello spirito, quando il cuore sembra fermarsi o battere più forte, dinanzi al miracolo delle cose: i pastelli del tramonto, il profumo dell'oceano, la pioggia nel pineto, l'ultima neve di primavera, gli accordi di mille violini suonati dal vento, tutti i colori dell'arcobaleno...
Solo tu puoi farci cogliere la santità che soggiace a quegli arcani trasalimenti dello spirito, quando il cuore sembra fermarsi o battere più forte, dinanzi al miracolo delle cose: i pastelli del tramonto, il profumo dell'oceano, la pioggia nel pineto, l'ultima neve di primavera, gli accordi di mille violini suonati dal vento, tutti i colori dell'arcobaleno...
Vaporano allora, dal sottosuolo delle memorie, aneliti religiosi di pace, che
si congiungono con attese di approdi futuri, e ti fanno sentire la presenza di
Dio.
Aiutaci perchè in quegli attimi veloci di innamoramento con l'universo possiamo intuire che le salmodie notturne delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscioi hanno la medesima sorgente di carità. E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa del ritornello che si sente giungere la sera...da una rotonda sul mare:"Parlami d'amore, Mariù".
Aiutaci perchè in quegli attimi veloci di innamoramento con l'universo possiamo intuire che le salmodie notturne delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscioi hanno la medesima sorgente di carità. E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa del ritornello che si sente giungere la sera...da una rotonda sul mare:"Parlami d'amore, Mariù".
* Testo tratto dal libro di don Tonino Bello
" Maria , donna dei nostri giorni",
edito da Società San paolo . Alba . CN
Era de maggio*
di Salvatore Di Giacomo
Era de maggio e te cadeano nzino
a schiocche a schiocche li ccerase rosse,
fresca era ll'aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.
Era de maggio; io, no, nun me ne scordo,
na canzona cantàvemo a doie voce;
cchiù tiempo passa e cchiù me n'allicordo,
fresca era ll'aria e la canzona doce.
E diceva: «Core,
core!
core mio, luntano
vaie;
tu me lasse e io
conto ll'ore,
chi sa quanno
turnarraie!»
quanno tornano li
rrose,
si stu sciore torna
a maggio,
pure a maggio io
stonco ccà».
E so' turnato, e mo, comm'a na vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s'avota,
ma ammore vero, no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, m'annammuraie,
si t'allicuorde, nnanze a la funtana:
ll'acqua llà dinto nun se secca maie,
e ferita d'ammore nun se sana.
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s'avota,
ma ammore vero, no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, m'annammuraie,
si t'allicuorde, nnanze a la funtana:
ll'acqua llà dinto nun se secca maie,
e ferita d'ammore nun se sana.
Nun se sana; ca
sanata
si se fosse, gioia
mia,
mmiezo a st'aria
mbarzamata
a guardarte io nu'
starria!
E te dico: «Core,
core!
core mio, turnato
io so',
torna a maggio e
torna ammore,
fa de me chello che
buo'!».
*Scritta da
Salvatore Di Giacomo
è stata messa in musica da Mario Pasquale
Costa
e cantata da innumerevoli artisti.
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